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    Pablo Escobar, luci ed ombre di una leggenda ingombrante

    Pablo Escobar, luci ed ombre di una leggenda ingombrante

    Oggi a Nevrotic Town (o Torino, se siete amanti della moda) il sole gioca a nascondino e non sa se rimanere o fare le valigie per altre mete. Vago distrattamente su Youtube mentre il mio amico algoritmo mi consiglia video nuovi da vedere o altri da visionare per una seconda volta. Tra questi mi ripropone quelli della campagna antidroga Just say no, promossa da Nancy Reagan, con lo scopo di scoraggiare bambini e giovani adulti dall’uso di droghe ricreative. Quella che è stata la più grande campagna antidroga che la storia ricordi ha avuto inizio nel 1986, quando Nancy Reagan tenne un discorso alla nazione riguardo i preoccupanti numeri circa l’abuso di sostanze stupefacenti.

    Ben presto questo slogan divenne molto popolare negli Stati Uniti per tutti gli anni Ottanta e la campagna ebbe una grande risonanza politica e mediatica. Vennero coinvolti personaggi del cinema, della tv, della musica e vennero inseriti messaggi contro l’uso di droghe in cartoni animati e serie tv molto popolari al tempo. Parallelamente in Colombia un uomo apparentemente normale avrebbe dato vita al più importante cartello di droga al mondo, creando un vero e proprio impero. Il suo nome era Pablo Emilio Escobar Gaviria, più comunemente conosciuto come Pablo Escobar. Questo articolo non vuole essere un’esaltazione delle gesta criminali di Pablo Escobar ma il frutto di lavoro di mesi e mesi di studi e ricostruzioni su uno dei personaggi che ha marchiato a fuoco e sangue la storia recente della Colombia.

    Pablo Escobar in una foto degli anni Ottanta

    Dagli anni Sessanta fino alla fine degli anni Settanta l’America era verde come le foglie della marijuana e come le banconote sulle quali erano impressi i volti dei suoi presidenti morti. A partire dagli inizi degli anni Ottanta sul cielo degli Stati Uniti si stavano addensando delle nuvole che avrebbero presto portato una fiorente nevicata di cocaina purissima proveniente dal Sud America. Dalla Colombia, più precisamente. Le rotte della marijuana divennero ben presto quelle della cocaina e i soldi inondarono Miami come una fottuta onda anomala. Si dice che i profitti della coca cambiarono gli equilibri di Miami in una notte. E il tutto era gestito da Pablo Escobar: i libri di storia affermano che fosse terzo di sette fratelli avuti da un agricoltore e da una maestra di scuola elementare. Il piccolo Pablo crebbe per le strade di Medellin iniziando a commettere piccoli furti e aderendo al nadaismo (corrente simile ad dadaismo molto in voga in Colombia), che spingeva i suoi aderenti a ribellarsi alle autorità precostituite e a sperimentare droghe. Escobar mostrò brillanti doti imprenditoriali che lo spinsero in seguito ad allargare i suoi affari oltre al solo commercio di marijuana, giungendo a spadroneggiare con la forza il mercato della coca anche con mezzi non ortodossi che prevedevano l’eliminazione dei suoi avversari. Durante la sua guida il cartello di Medellin (che aveva fondato) divenne molto famoso e potente a tal punto da giungere a controllare l’ottanta percento della cocaina circolante nel mondo e il venti percento delle armi che circolavano in maniera illecita. Un vero e proprio impero che valsero ad Escobar il soprannome di imperatore della cocaina.

    Ma per capire davvero chi fosse questo individuo, bisogna entrare nella sua mente. E per farlo, occorre andare oltre le facili categorizzazioni: Escobar non era semplicemente un narcotrafficante. Era un visionario criminale, una sorta di Robin Hood maledetto, una divinità perversa e un martire della violenza sistemica. In un mondo dove il denaro compra tutto, Pablo Escobar era il maestro del gioco. Ma giocava con il fuoco e alla fine ha finito con il bruciarsi. Escobar nasce povero e questo non è un dettaglio da tralasciare. La povertà in Colombia non è solo mancanza di denaro: è disperazione perpetua, una prigione invisibile dalla quale pochi escono. Pablo voleva fuggire da questa prigione e il denaro era la chiave. Ma non la chiave del successo comune, bensì quella per un regno senza legge, una sorta di El Dorado criminale. Cocaina era la parola magica. Bianca, pura, letale e con un mercato insaziabile nel nord del mondo. a non fraintendetemi. Escobar non fu il primo a capire che la cocaina potesse arricchire; fu semplicemente il migliore a sfruttare questa intuizione. Un uomo d’affari in un mondo senza regole. Forse più pragmatico dei capi di Wall Street, Pablo vedeva l’opportunità di fare soldi dove altri vedevano solo caos. Aveva un piano ben congegnato e funzionò. Negli anni Ottanta era l’uomo più ricco del mondo, con un patrimonio che si stimava fosse di trenta miliardi di dollari.

    Pablo Escobar ritratto in quella che è, probabilmente, la sua foto più famosa

    La filosofia di Escobar era tanto semplice quanto brutale: plata o plomo, denaro o piombo (ripresa anche dalla serie tv Narcos che l’ha fatta diventare una sorta di tormentone). O si accettava la sua generosità o ci si preparava a ricevere un carico di pallottole. Funzionava con poliziotti, politici e giudici. Nessuno ne era immune. La corruzione era una piaga diffusa e chiunque avesse osato opporglisi non vedeva il sole sorgere per molto. Ma non fraintendete, Escobar non era solo un gangster con una valigia piena di denaro sporco. Era un maestro nel plasmare la sua immagine. Agli occhi dei poveri di Medellín era una sorta di Robin Hood moderno. Finanziava scuole, costruiva ospedali, e distribuiva denaro come un mecenate impazzito in un impeto di Peronismo criminale, come venne definito da qualcuno. Per molti, non era solo un criminale, ma un benefattore che si preoccupava di loro più di quanto avesse mai fatto il governo. Con la mano destra uccideva senza pietà, con la sinistra faceva regali inestimabili. In questo paradosso di generosità e terrore, Escobar consolidava il suo regno. Ha anche realizzato un quartiere che porta il suo nome, il barrio Pablo Escobar, dove ha creato case e scuole per le persone indigenti creando nel popolo una lealtà che è stata fondamentale nel periodo della sua fuga e conseguente latitanza. Ha inoltre avuto una breve ma intensa carriera politica che lo portò ad essere eletto alla camera dei rappresentanti nel 1982 e che subì una brusca battuta d’arresto quando un’inchiesta del quotidiano El Espectador affermava che Escobar venne arrestato nel 1976 per essere stato trovato in possesso di un carico di cocaina. La camera lo privò dell’immunità parlamentare nel 1983 e l’anno seguente si dimise, vivendo il naufragio della sua carriera politica come un grosso fallimento.

    Nel 1991, Pablo Escobar compì una delle manovre più folli e geniali nella storia della criminalità moderna: si consegnò volontariamente alle autorità colombiane. Ma questa non era una resa. Era un capolavoro di controllo psicologico e tattico. Escobar riuscì a negoziare la propria prigionia in una prigione costruita su misura per lui chiamata La Catedral. Era una struttura più simile a un resort di lusso che a una prigione. Sale giochi, jacuzzi, bar. Il suo esercito personale di guardie lo proteggeva dall’esterno, mentre all’interno gestiva ancora il suo impero criminale. Le autorità colombiane, corrotte o terrorizzate, facevano poco per fermarlo. Fu lì, tra le mura di questa fortezza, che Escobar cementò la sua leggenda. Viveva in uno stato di arroganza totale, come se avesse sfidato il mondo e vinto. Ma la sua fame di potere e il desiderio di sfuggire a un destino inevitabile (l’estradizione negli Stati Uniti) lo portarono a compiere errori fatali. Escobar non era un uomo che accettava facilmente la sconfitta. Quando il suo potere cominciò a scivolare via, scatenò una guerra senza precedenti contro lo Stato colombiano e il cartello rivale di Cali. Autobombe, omicidi mirati: un’escalation di violenza che fece piombare la Colombia nell’incubo. Ogni giorno era una roulette russa. Civili, poliziotti, politici: tutti erano pedine in un gioco letale.

    Eppure, per quanto potesse essere potente, anche gli imperi più grandi crollano. La sua storia finisce il 2 dicembre 1993, sulle colline di Medellin, dove il Bloque de busqueda (un gruppo d’elite appositamente creato per la cattura di Escobar) ingaggiò una sparatoria con Escobar e una sua guardia del corpo. Pablo venne raggiunto da colpi alle gambe, al torace e da un proiettile mortale alla testa: alla cattura di Escobar erano presenti anche membri della CIA e della DEA, tra i quali i leggendari Javier Pena e Stephen Murphy. L’America pensava di aver vinto quella famosa guerra al narcotraffico iniziata con la campagna Just Say No con la cattura e l’uccisione di Escobar, che portò alla fine e alla disgregazione del cartello di Medellin a favore di quello di Cali, al quale toccò ben presto la stessa sorte. Da allora le cose non furono più le stesse ma non era neanche la punta di un iceberg lisergico che continua a svettare tutt’oggi più maestoso che mai, sotto nuove forme e con nuove divinità pagane.

    Il momento della cattura e dell’uccisione di Pablo Escobar

    La morte di Escobar non segnò la fine della sua leggenda, anzi. La sua figura continua a dominare l’immaginario collettivo, un miscuglio di terrore e fascino. In una terra devastata dalla povertà e dalla violenza, Escobar incarna il potere sfrenato e la possibilità di sfidare ogni limite. È diventato un simbolo, una sorta di eroe oscuro per alcuni, un mostro per altri. Il suo volto è stampato sulle t-shirt, il suo nome sussurrato nei vicoli di Medellín come quello di una divinità decaduta. Egli non era solo un uomo ma bensì un idea: rappresentava la fine di un modo di vivere fino ad allora conosciuto e l’inizio di qualcosa di frenetico, sfavillante e letale. Guardando indietro forse è questo che lo rende eterno nel bene e nel male: la sua capacità di incarnare il caos puro in un mondo che cerca disperatamente di trovare ordine a suo modo.

    Hank Cignatta

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