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    Eddie Hazel, storia di una leggenda dimenticata dell’assolo

    E’ un pomeriggio del 2008. Stranamente non ho passato il pomeriggio a gironzolare con la mia compagnia di amici per il quartiere ma ho dato distrattamente una rapida occhiata ai compiti per il giorno dopo. Ma mi sono stufato in fretta di studiare, quindi decido di andare a trovare mio zio Louis, il fratello più grande di mio padre, che abita non lontano da casa dei miei genitori. Suono, sperando di trovarlo. Sono abbastanza a terra perché ho litigato con la mia ragazza e non so come fare per farmi perdonare. Ho bisogno di un buon consiglio. Mi apre il portone e mi fiondo davanti alla sua porta, posta al pian terreno di quella casa con un bellissimo terrazzo angolare che rende l’appartamento molto luminoso. Lo zio Louis mi apre con indosso una maglietta dei Los Angeles Lakers e un paio di pantaloncini corti e mi accoglie con il suo sorriso luminoso. Mi chiede come sto, se ho mangiato e soprattutto se ho fatto i compiti. Sullo schermo della sua televisione scorrono le immagini di una partita di basket, lo sport che zio Louis ha praticato per tutta la vita fino alla fine della sua vita terrena. Mi metto comodo sul suo divano e guardo con lui la partita, mentre si addentra in un commento tecnico della partita assai molto più accurato di quello dei commentatori televisivi. Già il fatto di essere con lui e di vedere il suo sorriso luminoso allontanano dalla mia mente quelle che fino a pochi istanti prima sembravano delle preoccupazioni irrisolvibili. Finita la partita zio Louis mi offre del succo di mirtillo fresco, che accetto di buon grado. Mentre mi gusto quella bevanda si avvicina alla sua leggendaria collezione di dischi ed estrae Maggot Brain dei Funkadelic. Mette il vinile sul piatto del suo giradischi, alza leggermente il volume e lascia che la puntina faccia la sua magia. Non conosco quella band e gli chiedo più informazioni al riguardo. Lui mi guarda e con il suo indimenticabile sorriso mi dice: “Ascolta bene la chitarra di Eddie Hazel, uno degli ultimi santoni della chitarra elettrica. Tutto il resto sarà roba dalla quale scappare a gambe levate”. Cazzo se avevi ragione, zio Louis.

    Eddie Hazel con la sua chitarra elettrica

    Ci sono pochi selezionati chitarristi leggendari che hanno fatto gridare, cantare, godere, piangere o allucinare con il loro strumento musicale. E spesso non in questo preciso ordine. Chi invece è stato in grado di fare questo ogni volta che imbracciava quello strumento è stato Eddie Hazel: se non sapete di chi sto parlando, la colpa non è solo prettamente vostra. Eddie non è mai stato un personaggio alla spasmodica ricerca della gloria personale o dei riflettori a tutti i costi, cosa che stride pericolosamente con gli esibizionistici tempi moderni. La sua vita, una giostra che correva tra i paradisi sonori e gli inferni personali, ha lasciato tracce indelebili in quegli strani anni Settanta dove la musica non era solo musica ma un’arma per combattere tutto ciò che puzzava di repressione. Hazel faceva parte dei Funkadelic, una delle band più visionarie e folli di quell’epoca, capitanata dal maestro delle acide cerimonie George Clinton. I Funkadelic non erano solamente un gruppo: era un culto psichedelico, un astronave sonora che viaggiava nelle menti dei suoi seguaci e Hazel ne era il pilota.

    Eddie Hazel era un chitarrista virtuoso che era capace di far fare al suo strumento tutto ciò che voleva. Citava spesso Jimi Hendrix come uno degli artisti che hanno formato il suo stile ma lui era decisamente qualcosa di diverso. Era estremo, selvaggio e difficilmente catalogabile. Il suo suono era veloce e capace di andare dritto al cuore senza troppe puttanate. E divenne presto l’artista che più seppe influenza le sonorità del funk. Il suo assolo in Maggot Brain dell’omonimo album del 1971 dei Funkadelic è uno dei momenti più importanti nella storia musicale della chitarra elettrica: dieci minuti di emozioni sonore dettati da quell’assolo che strazia l’anima. Perché la leggenda vuole che il cantante dei Funkadelic, George Clinton, abbia detto in fase di scrittura del pezzo a Hazel di suonare come se gli avessero detto che sua madre fosse morta. Eddie era strafatto di LSD durante la registrazione del pezzo e ha lasciato parlare le emozioni oer mezzo della sua chitarra elettrica. Ogni nota è un grido, un respiro affannoso, un viaggio nella disperazione più pura. È il suono di qualcuno che si è perso ma che , in qualche modo, trova una luce in quell’oscurità senza fine.

    Hazel non si limitava a suonare la chitarra: la viveva, la scopava e la faceva bruciare. Era un artista del caos, un esploratore di territori sonori che non erano mai stati raggiunti prima. La sua tecnica non era solo brillante, era profondamente emozionale, un’esplosione di sentimento grezzo e incensurato. Non era mai soltanto funk: c’era il blues, c l’acid rock e il suo idolo Jimi Hendrix che lo osservava dallo spazio e gli dava il suo benestare per far saltare in aria tutto per via di quella tempesta elettrica che arrivava dalla sua chitarra e si propagava dagli amplificatori. Ma come ogni genio folle Hazel aveva un lato oscuro, un desiderio di autodistruzione che lo tormentava. Le sue battaglie con la dipendenza erano ben note, il classico binomio banalmente sintetizzabile con genio e sregolatezza. L’LSD era la sua chiave per entrare in altre dimensioni, ma quella chiave apriva anche porte che nessuno avrebbe dovuto varcare. Eddie entrava, si perdeva e tornava con nuove note, nuovi assoli, ma ogni volta lasciava una parte di sé dall’altra parte. Gli anni Ottanta non furono particolarmente generosi con Eddie Hazel. Mentre George Clinton e il P-Funk continuavano a sfondare nuove frontiere, il nome di Eddie iniziò a sbiadire come il fumo delle sigarette che fumava nei club dove si esibiva. Il suo contributo alla musica funk e rock è stato enorme ma la gloria gli è sempre stata negata. Non era il tipo da inseguire la fama; per lui, la musica era tutto ciò che contava. E se il mondo non lo capiva, fanculo a lui e a tutti. Eddie morì il 23 dicembre 1992 a soli 42 anni a causa di un’emorragia interna e di insufficienza epatica dovute all’abuso di droga, portandosi dietro i suoi demoni ma lasciando una manciata di album strepitosi e quell’assolo immortale di Maggot Brain.

    Hank Cignatta

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    Sono la mente insana alla base di Bad Literature Inc. Giornalista pubblicista, Gonzo nell’animo, speaker radiofonico, peccatore professionista, casinista come pochi. Infesto il web con i miei articoli che sono dei punti di vista ( e in quanto tali condivisibili o meno) e ho una particolare predisposizione a dileggiare la normalità. Se volete saperne di più su di me e su Bad Literature Inc. leggete i miei articoli. Ma poi non dite che non siete stati avvertiti.

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