Jet Li: il dragone zen del cinema d’azione

Jet Li: il dragone zen del cinema d’azione

Pechino, 1971. Io non c’ero, ma giuro su un tè verde bollente che l’aria sapeva già di rivoluzione. Un bambino di otto anni piega il vento con le mani. Non è leggenda (o almeno non ancora): il suo nome è Jet Li. Li Lianjie, per gli anagrafisti. Il suo maestro, Wu Bin, lo guarda come un falegname guarda il miglior pezzo di cedro rosso: sa che farà strada.

Da sinistra: Wu Bin insieme a Li

Jet Li non ha scelto il Wushu. Il Wushu l’ha scelto. Ha vinto il campionato nazionale cinese cinque volte di fila, prima ancora che gli spuntassero i baffi. Mentre altri collezionavano figurine, lui piegava le leggi della fisica con mosse che sembravano scritte da un poeta pazzo in una notte di monsoni.

Un giovanissimo Jet Li

Celluloide e cicatrici: l’avvento sul grande schermo

Il 1982 è l’anno zero. Esce “The Shaolin Temple” e la Cina, ancora post-maoista e stordita, si innamora follemente di quel ragazzo che salta come un pensiero e colpisce come un’epifania. Lui non recita: incarna.

Hollywood bussa alla sua porta nel 1998 con Arma Letale 4. Gli danno il ruolo del cattivo perché è troppo veloce per essere credibile come eroe. E anche in quell’occasione, Jet Li non parla quasi mai. Gli bastano gli occhi. E quei piedi che sembrano saper suonare Chopin ogni volta che colpiscono.

Poi arrivano gli altri: Romeo Must Die, The One, Kiss of the Dragon, Fearless, Hero. Senza dimenticare quel piccolo capolavoro quale è Danny The Dog, un film particolare quando profondo. In ogni film Jet Li non è un personaggio. È un ideogramma vivente. La sua presenza non chiede permesso. È come un ospite che ti entra in casa e ti cambia il feng shui.

L’illuminazione come conseguenza del dolore: Jet Li diventa silenzio

Nel 2004 Jet è a un soffio dalla morte. Si trova alle Maldive con la figlia, quando lo tsunami che ha colpito l’Oceano Indiano lo investe. Scappa con la piccola tra le onde. Vive. Ma qualcosa cambia. Lo senti nei suoi film successivi, lo vedi nei suoi occhi quando parla. Jet Li ha guardato la morte in faccia e ha visto Dio ridere piano.

Nel 2010 gli viene diagnosticato l’ipertiroidismo. I riflettori si spengono. I tabloid sbracano: “È irriconoscibile!”. Ma non capiscono. Jet non è scomparso. È entrato in una nuova forma. Si ritira, medita, diventa buddista tibetano, fonda la One Foundation, aiuta le vittime di disastri naturali.

Jet Li in una foto recente

Lui dice: “Non sono un attore. Non sono un combattente. Sono solo una persona in cerca della verità.”
E intanto, ogni giorno, mentre noi scrolliamo le nostre vite sugli schermi dei nostri telefonini intelligenti, Jet Li medita. Dieci ore. Dodici. O forse non si ferma mai.

Jet Li non si guarda. Jet Li si vive.

Alla fine, Jet Li è la risposta a una domanda che nessuno ha il coraggio di porre: è possibile distruggere il mondo e guarirlo nello stesso gesto? Lui lo fa. Ha sempre camminato sulla lama del rasoio tra guerra e pace, tra vendetta e compassione. Come se dentro avesse due lupi, e invece di farli combattere, li avesse fatti danzare. Jet Li non è passato. Non è futuro. È il presente che ci manca. Il presente che sa lottare, ma anche lasciar andare. Un guerriero poetico, un santo armato, un’eco che risuona tra i grattacieli e i templi.

Hank Cignatta

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