
Jazz, Cinema e Genio: L’Ultima Nota di Lalo Schifrin
Esterno. Giorno. Mi trovo a bordo della mia fedele Great Point Blue Shark che è intenta a mordere l’asfalto rovente delle strade di Nevrotic Town (o Torino, se siete amanti delle ferie a settembre). Fuori la colonnina di mercurio segna trentotto gradi di inferno mentre l’aria condizionata nel mio abitacolo mi fa respirare sui diciassette gradi e mezzo. Accanto a me, felice e scodinzolante, la mia inseparabile cagnona Noël si gode quel fresco artificiale. In quel momento apprendo alla radio dal notiziario della morte del compositore e arrangiatore Lalo Schifrin, celebre per le sue colonne sonore cinematografiche. Un altro pezzo della storia del cinema che se ne va.
Lalo Schifrin, La leggenda con la sigaretta accesa
Nel cuore di una stanza buia a Hollywood, colma di fumo di sigari cubani e partiture sparse sul pavimento, c’è un uomo che dirige con un cenno del mento e il ritmo nel sangue. Si chiama Lalo Schifrin, e se non lo conosci è perché hai vissuto la vita con le orecchie tappate. Ha messo il jazz al servizio della pistola, ha dato groove agli spari e swing alle fughe. È il tipo che ha trasformato una serie TV in un’icona mondiale solo con quattro note sincopate: Mission: Impossible.
Nessuna colonna sonora di serie tv ha cambiato il mondo come il tema di Mission: Impossible, firmato da Schifrin nel 1966. Quelle note in 5/4, ispirate al codice Morse per “M.I.”, erano atomiche: due battiti lunghi e due brevi, che in pochi secondi catapultano lo spettatore nel cuore del rischio e dell’adrenalina . Un esperimento ritmico all’apparenza impossibile, eppure riuscito nel migliori dei modi. Quando si parla di Lao Schifrin non si parla di un semplice compositore. Schifrin è un preciso miscelatore di suoni pericolosi, il tipo che mescola cultura alta e pulp, Bach e bebop, il conservatorio e il Bronx.

L’origine del genio di Lalo Schifrin: Buenos Aires, pianoforti e rivoluzioni
Nato Boris Claudio Schifrin nel 1932, figlio di un primo violino dell’Orchestra Sinfonica di Buenos Aires, Lalo impara a leggere le partiture prima di leggere i fumetti. Studia con Olivier Messiaen a Parigi e poi torna a casa per dirigere jazz band nei locali fumosi, dove il whisky gira più delle note. Ma l’Argentina è stretta per un talento così. Allora s’imbarca per gli Stati Uniti e da lì comincia la sua missione: “infettare” Hollywood con il jazz. E ci riesce. Clamorosamente.
Jazz & Pistole: l’arrivo a Hollywood
Gli anni Sessanta lo accolgono a braccia aperte. Schifrin suona per Dizzy Gillespie, poi inizia a scrivere per il cinema. Ed è subito caos creativo. Lui non compone, spara. Le sue colonne sonore sono coltellate ritmiche nel ventre della narrazione. Mischia l’improvvisazione al montaggio, l’assolo alla suspense. E ogni cosa diventa qualcosa di unico, capace di essere iconico. Con “Bullitt” (1968) infila la sua musica tra le ruote della Mustang di Steve McQueen, tra le scale del garage e il respiro corto degli inseguiti.
In “Dirty Harry” (1971) accompagna Clint Eastwood con tastiere elettriche e wah-wah funk: è jazz psicopatico per un mondo in bilico. Non accompagna l’azione. La anticipa. La plasma. La crea.
Colonne sonore come droghe sonore
Lalo Schifrin non scrive “musica per film”. Lui creava mondi sonori paralleli. Le sue colonne sonore non si limitano a sottolineare: sono le protagoniste occulte. In “I tre dell’Operazione Drago” Bruce Lee danza letteralmente sulle sue note. Il funk orientaleggiante di Schifrin è un trip da oppio jazz, il ponte tra Hong Kong e Harlem. Ogni sua partitura è una dichiarazione di guerra al convenzionale. È come se John Coltrane, Morricone e Miles Davis si fossero infilati nello stesso corpo, e poi si fossero messi a scrivere per il cinema sotto LSD.
Il metodo Schifrin: caos controllato
Lalo racconta che comporre per il cinema è come “improvvisare con un timer in mano”. Lavora al confine tra genialità matematica e istinto tribale. Usa scale orientali, armonie classiche, groove afroamericani. Cambia tempo con la stessa facilità con cui cambia sigaretta. E il risultato è sempre ipnotico.

una morte che suona come un colpo di scena
Il 26 giugno 2025, a 93 anni, Lalo Schifrin è venuto a mancare per complicazioni dovute alla polmonite nella sua casa di Los Angeles, circondato dall’affetto della famiglia che ha dato notizia del decesso. Non un addio discreto ma un ultimo battito di jazz che rimbalza nelle sale e nei cuori.
Oggi i registi usano ancora i suoi spartiti come armi segrete, gli scrittori di colonne sonore si studiano il suo metodo – fusioni, contrasti, silenzi. L’assenza di musica? Un altro suo marchio. I fratelli Schifrin, Donna (moglie), William, Ryan e Frances piangono un uomo che ha suonato il mondo e cambiato Hollywood. Nel suo universo, il tempo è elastico, la tensione è una nota sospesa, e il pubblico è sempre sul filo. Missione compiuta, Lalo. E senza nemmeno sudare.
Hank Cignatta
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