Storia e tradizione dello Shamisen, il “banjo” giapponese

Storia e tradizione dello Shamisen, il “banjo” giapponese

Mentre camminavo per le strade notturne di Osaka, in preda ai fumi di un sakè economico, un suono mi trascinò via dai neon accecanti delle insegne e dal chiasso caotico dei salaryman. Un suono tagliente, ipnotico e un po’ psichedelico: era lo shamisen, il banjo orientale più bizzarro che avessi mai sentito.

Una veduta di Osaka di notte

Origini oscure e pelle di gatto

Lo shamisen nasce in Cina e arriva in Giappone attraverso Okinawa nel XVI secolo, epoca in cui i samurai ancora si dilettavano a tagliar teste e bere tè verde con pari entusiasmo. Il suo nome significa letteralmente tre corde dal sapore divino, ma a guardarlo sembra un incrocio improbabile tra una chitarra mutilata e una racchetta da tennis medievale.

Una foto del periodo con due Geishe, di cui una che suona uno shamisen

La pelle tesa del corpo dello strumento in origine era ricavata dal gatto, un dettaglio che farebbe rabbrividire qualsiasi ambientalista moderno. Oggi invece si utilizzano materiali sintetici o pelle di altri animali.

Il blues giapponese: quando lo Shamisen canta le pene d’amore

Nascosto in un bar minuscolo di Kyoto, mi raccontano dello Tsugaru Shamisen, stile nato nella prefettura di Aomori, nell’estremo nord del Giappone. Questo è il blues giapponese per eccellenza. Un suonatore, con mani velocissime e callose, mi spiega che il suo shamisen parla delle sofferenze della gente comune, delle battaglie perse e degli amori finiti male. E proprio come il blues americano questo suono ti entra nelle vene e ti riscalda il cuore anche quando parla di tragedie.

Musica e samurai: l’assurdo cocktail dello Shamisen

Per secoli lo shamisen ha avuto un ruolo di primo piano nella cultura giapponese tradizionale. Era l’accompagnamento ideale per il Kabuki, il teatro classico dai trucchi sgargianti e dai movimenti surreali. Samurai e geishe lo ascoltavano con uguale passione, facendo sì che questo strumento fosse un ponte assurdo tra il mondo della guerra e quello del piacere raffinato. Se ci pensate è come ascoltare Jimi Hendrix mentre si pratica il kendo: non ha alcun senso, ma è esattamente questo il suo fascino.

Modernità e contaminazioni psichedeliche

Negli ultimi decenni, lo shamisen è passato dalle sale da tè ai palchi dei festival musicali, incrociando generi come rock, jazz e addirittura EDM. Gruppi come gli Yoshida Brothers, che ho avuto il piacere di ascoltare live in un club di Tokyo, hanno portato lo shamisen fuori dalle sue restrizioni tradizionali, scaraventandolo in un trip psichedelico fatto di distorsioni elettriche e ritmo techno martellante.

YouTube è pieno di giovani giapponesi che reinterpretano classici occidentali con lo shamisen e vi assicuro che ascoltare Smells Like Teen Spirit dei Nirvana reinterpretato con tre corde e un plettro gigante può essere un’esperienza spirituale.

Shamisen e futuro: un suono oltre il tempo

Mentre scrivo, seduto in un minuscolo bar di Tokyo, il suono di uno shamisen amplificato elettronicamente mi trapassa le orecchie. In questo Giappone moderno, che mescola senza ritegno sacro e profano, futuro e passato, questo strumento sembra ancora perfettamente a suo agio. Lo shamisen è come un vecchio viaggiatore cosmico che attraversa indenne le epoche, conservando il suo fascino anarchico e irriverente. Che siate amanti della tradizione o esploratori psichedelici, lo shamisen resta un trip irrinunciabile, un viaggio tra le corde di un Giappone che esiste solo se si è disposti a perdere il controllo.

Hank Cignatta

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