Masayoshi Takanaka, il samurai del funky jazz
Tra i tanti artisti che sono presenti nella mia collezione di vinili che ho avuto la fortuna di ereditare da mio zio Louis c’è un disco che mi ha sempre colpito e che ho iniziato ad apprezzare non appena i primi capelli bianchi sono iniziati a comparire sulla mia testa. Nel dettaglio la copertina di questo album ritrae un uomo asiatico intento a lanciarsi con il paracadute e a sorridere con il pollice destro in su mentre sorride alla fotocamera, sullo sfondo di quello che sembra essere un atollo. Quel sorridente signore risponde al nome di Masayoshi Takanaka, superbo virtuoso della chitarra elettrica, che era immortalato nella copertina di All Of Me, il suo album più famoso. Preso da una consueta nostalgia che tende a celebrare chi non c’è più prendo quel disco, il cui odore mi richiama a momenti stupendi di una vita che ormai non c’è più se non custodita gelosamente tra gli archivi dei miei ricordi. Prendo un buon sigaro dalla mia riserva personale e metto il vinile sul piatto del giradischi. Mentre la puntina fa la sua consueta magia accendo il mio sigaro e mi lascio trasportare dalla musica in una nuova dimensione.
Masayoshi Takanaka nasce a Tokyo nel 1953 da padre cinese e madre giapponese nel quartiere di Akabane ma si trasferì quando aveva pochi mesi con la famiglia nel quartiere Shinagawa. Quando frequentava la quarta elementare Masayoshi effettuò la naturalizzazione giapponese (assumendo il cognome materno e passando così da Masayoshi Liu a Masayoshi Takanaka) e mostrò fin da piccolo un naturale talento musicale. A diciassette anni era già artisticamente attivo, militando nel 1971 come chitarrista nella rock band progressiva dei Flying Egg, che pubblicava album sotto l’etichetta discografica britannica Vertigo Records (etichetta di artisti del calibro di Rod Steward, Colisseum, Black Sabbath e Uriah Heep per citare gli artisti più famosi nella sua scuderia). L’anno seguente i Flying Egg si sciolsero e Takanaka si unì alla Sadistic Mika Band. Questo progetto vedeva alla voce Mika Fukui, prima moglie di Kazuhiko Kato (cantante, produttore e chitarrista del gruppo), fatto insolito in quanto in Giappone era raro all’epoca per una donna cantare in una rock band. La Sadistic Mika Band, grazie al suo stile e al fatto di essere stato un gruppo pioniere nello sfidare le tradizionali convenzioni in uso nel Sol Levante, ebbe molto successo sia in patria che all’estero.
La band si sciolse nel 1975 e Takanaki fondò i Sadistic, progetto creato con i membri rimanenti della band. L’anno seguente pubblicò il suo primo album da solista intitolato Seychelles che lo lanciò come abilissimo chitarrista jazz fusion. Nel mentre sia lui che gli altri membri dei Sadistic alternarono la loro carriera solista al prosieguo del progetto che naufragò definitivamente nel 1978. Takanaka continuò una fortunata carriera da solista, che lo portò a collaborare anche con artisti del calibro di Santana (di cui richiama le sonorità ed i virtuosismi), Little Richard e Roxy Music.
La leggenda vuole che il suo brano più iconico, Blue Lagoon, sia nato da un sogno a metà tra la realtà onirica e il delirio. Ascoltare questo pezzo è come tuffarsi in una laguna infinita sotto i cieli roventi di agosto, con onde che si infrangono sognanti e chitarre elettriche sognanti che fanno da perfetta colonna sonora al momento. La struttura musicale è semplice ma è proprio qui che si cela la sua grandezza: ogni nota è una carezza, un’onda che lambisce lo spirito di chi ascolta. Il suono è profondo e vivido, trasparente come l’acqua di una laguna incontaminata ma con l’intensità di un vulcano marino. Il pubblico giapponese, normalmente controllato e discreto, durante un’esecuzione dal vivo di questo brano si trasforma. Sono tutti pronti a scivolare in questo oceano immaginario insieme a Takanaka, a lasciarsi andare come fuscelli trascinati dalla corrente. È un rituale euforico: la sua chitarra è un’àncora e, allo stesso tempo, un faro. Takanaka è lì senza dire una parola a far parlare la sua chitarra ed ogni colpo di plettro è un richiamo, un invito a perdersi in quel mondo artificiale eppure sorprendentemente reale.
Gli anni Ottanta sono per Takanaka una giostra a colori, un’epoca in cui spunta sulle scene giapponesi con giacche dai colori improbabili e chitarre da collezione, fra cui una perfettamente trasparente e una completamente dorata, che brillano come fossero saltate fuori da qualche anime (cartone animato giapponese). Questa non è semplice vanità; è un manifesto. Takanaka vuole trasportare il pubblico oltre la musica. Dentro il colore. All’interno di un mondo fantastico. In quegli anni, Tokyo pullula di artisti intenti a spezzare le convenzioni e Takanaka li supera tutti. Non si limita ad essere il più eccentrico: porta infatti la musica e lo stile di vita a livelli cosmici. Lo spettacolo è un viaggio audiovisivo. Si parla di chitarre a forma di pesce, assoli che sembrano suonati da Poseidone in persona e di un suono che cavalca l’onda delle emozioni. Il funk incontra il rock, il jazz si fonde con l’elettronica e Takanaka cavalca ogni brano come un surfista esperto, muovendosi da una nota all’altra con fluida agilità, quasi ultraterrena. In quel periodo riesce ad essere anche la principale ispirazione per un nuovo genere musicale che attecchisce molto nella capitale nipponica e che si chiamerà city pop.
Masayoshi Takanaka è un miraggio nel deserto della prevedibilità musicale, un faro abbagliante nel buio della monotonia. In lui vive lo spirito di un’epoca che non vuole morire e che continua a danzare tra le onde elettriche della sua Blue Lagoon a inseguire chimere psichedeliche, a sfidare il destino su una tavola da surf musicale con una chitarra dorata che brilla come il sole a mezzogiorno. In fin dei conti, la sua è una storia che si riassume in poche parole: non importa dove sei diretto, finché la musica è buona l’impossibile è solo pura convenzione.
Hank Cignatta
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