
La storia incredibile di Vinnie Jones, dal calcio al grande cinema
C’è chi nasce per segnare gol con grazia e chi per spezzarti le gambe al primo dribbling. Vinnie Jones non ha mai avuto il piede educato di un fantasista ma la faccia da rissa al pub e le mani pronte a sistemare la questione fuori dal campo. L’ho visto – o forse me lo sono immaginato, ma è lo stesso – arrivare sul prato con l’aria di uno che ti sta chiedendo se preferisci il destro o il sinistro in faccia. Non giocava a calcio: occupava spazio, intimidiva l’aria stessa e trasformava la partita in una guerriglia urbana regolata da tackle e bestemmie.
Origini di un vero duro
Vinnie Jones nasce a Watford, Inghilterra, il 5 gennaio 1965. Cresce tra cemento, birra calda e il mito di un calcio che non aveva ancora le lustrine del business miliardario. Non era destinato a essere un numero dieci raffinato né un profeta del tiki-taka: era il ragazzo che i tuoi genitori ti avrebbero proibito di frequentare, l’incarnazione del “bad boy” che impara prima a sferrare pugni e poi a scrivere il proprio nome in corsivo.

Il suo ingresso nel mondo del pallone non è segnato da accademie dorate, ma da campi spelacchiati e sfide di quartiere. Jones porta dentro le ossa il rumore dei pub, le risse del sabato sera e l’arroganza tipica di chi non ha nulla da perdere.
Il Wimbledon e la “Crazy Gang”
Il salto di qualità arriva con il Wimbledon F.C., squadra leggendaria per la sua anarchia, ribattezzata “Crazy Gang”. Non si trattava di calcio come lo intendono i puristi, ma di un’arte brutale: resistenza fisica, aggressività pura e un senso dell’umorismo degno di un lager a cielo aperto.
Jones diventa subito la mascella di ferro del gruppo. Il suo stile non era elegante, ma era tremendamente efficace. Nel 1988, quando il Wimbledon sconfigge il Liverpool in FA Cup, Vinnie si ritrova tra i protagonisti di una delle imprese più folli del calcio inglese. Non per il tocco vellutato, ma per la capacità di spaventare chiunque gli si parasse davanti.

Vinnie Jones e Il calcio come campo di battaglia
Jones diventa una leggenda non tanto per i gol quanto per i cartellini gialli e rossi collezionati come francobolli. È stato capitano, carnefice e mascotte del terrore. Il suo gesto più celebre è una foto che immortala la sua mano aggrappata ai coglioni di Paul Gascoigne, un’istantanea che riassume tutto: il calcio come guerra psicologica e il corpo dell’avversario come arma di ricatto.

Per i puristi del pallone, Vinnie era un’eresia vivente. Per i tifosi, un idolo. Per i giornalisti sportivi, una miniera d’oro di scandali e titoli sensazionalistici. La sua carriera calcistica è stata un’odissea fatta di espulsioni e rispetto conquistato a colpi di ginocchia.

Vinnie Jones Dalla follia del campo allo schermo
Poi, quando sembrava destinato a svanire tra i fantasmi degli stadi inglesi, accade l’impensabile: il calcio spaccaossa si trasforma in cinema. Guy Ritchie lo prende e lo piazza in Lock & Stock – Pazzi scatenati. Ed è la rivelazione.
Sul grande schermo, Jones non recita: continua semplicemente a essere sé stesso. La sua voce roca, la sua faccia scolpita nella ghisa, la sua aura da ex galeotto fanno di lui l’antieroe perfetto. Non c’è bisogno di copione: basta piazzarlo davanti alla telecamera, dargli un fucile o una mazza da baseball e il resto lo fa il suo sguardo da esecutore. Che però ha in fondo un cuore d’oro.

Hollywood apre le porte al duro
La consacrazione arriva con Snatch – Lo strappo, sempre diretto da Ritchie. Da lì, Vinnie diventa l’attore che Hollywood chiama quando serve un cattivo con accento cockney (nativo di Londra) e mani sporche di sangue. Da Mean Machine a X-Men – Conflitto finale, la sua carriera è un catalogo di ruoli dove si alternano gangster, carcerati e uomini senza pietà.
Non è mai stato un attore “tecnico”. Ma il punto è proprio questo: Jones non interpreta personaggi, li incarna. Porta sul set la stessa intensità che aveva sui campi di calcio ma senza rischiare il cartellino rosso.
Il lato privato: il duro Vinnie Jones con le cicatrici nell’anima
Dietro la scorza di ferro però c’è un uomo che ha conosciuto il dolore vero. Nel 2019 perde la moglie Tanya, sua compagna di vita da oltre 25 anni, stroncata dal cancro. In un’intervista, Jones ammette di sentirsi “distrutto”, confessando che la sua vita senza di lei non avrebbe più avuto senso. È il momento in cui l’ex “hard man” del calcio mostra al mondo che anche gli squali possono sanguinare dentro.
Questo lato umano non intacca la sua aura da duro, anzi: la completa. Perché rende evidente che sotto la pelle d’acciaio c’è un cuore vero, segnato, che batte ancora nonostante tutto.
Rapporto con la stampa: benzina sul fuoco
Con i giornalisti sportivi, Jones ha sempre avuto un rapporto da cane e gatto. Ogni titolo era un’accusa, ogni intervista un rischio. Ma con il cinema la narrazione cambia: Vinnie non è più solo “l’uomo delle risse” ma un attore con un’aura magnetica. Da demonio del calcio a “caratterista di lusso” e la stampa lo ha così modo di riscoprirlo.
Il mito Gonzo di Vinnie Jones
Oggi, Vinnie Jones è un’icona transgenerazionale. I vecchi tifosi lo ricordano come il terrore delle difese avversarie, i cinefili lo amano come gangster definitivo, e i giovani lo scoprono nei meme e nei social come “il duro per eccellenza”. È l’uomo che ha attraversato due mondi – calcio e cinema – senza mai perdere la propria identità. Non ha mai cercato di essere amato: ha scelto di essere temuto, rispettato e ricordato.

Conclusione
Vinnie Jones non è un attore. Non è un ex calciatore. È una leggenda sporca, scolpita nella cultura popolare. Ha dimostrato che si può passare dal fango di un campo alla luce dei riflettori senza cambiare pelle, senza indossare maschere. È rimasto fedele a se stesso, brutale e diretto, uno squalo con le cicatrici e la mascella serrata. In un mondo di attori levigati e calciatori patinati, Vinnie è ancora la lama arrugginita che ti ricorda che la realtà non è fatta di perfezione, ma di sopravvivenza.
Hank Cignatta
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