Ozzy Osbourne: e il mito divenne leggenda immortale

Ozzy Osbourne: e il mito divenne leggenda immortale

Sono quasi le venti e trenta di una rovente serata di metà luglio quando il mio telefono inizia ad avvertirmi di aver ricevuto un messaggio. Ne segue un altro. E poi un altro ancora. E così a seguire per i successivi venti minuti. Afferro il mio dispositivo intelligente e leggo il primo: Ozzy Osbourne è morto a 76 anni. Porca puttana. Salto in piedi come un soldatino di latta. No, non ho letto male. Ozzy ha lasciato questo mondo per raggiungere l’altra dimensione. Mi affretto a fare un post sui social del giornale che preannunciano l’inevitabile articolo che state leggendo mentre di gran carriera mi sintonizzo sulla BBC che per prima ha dato la notizia della sua morte e che sta dando ampio risalto alla notizia. La notte si fa insonne, quindi faccio l’unica cosa che so fare: scrivere.

Il giorno in cui il rock è diventato orfano di Ozzy Osbourne

E’ morto per davvero Ozzy. Non uno qualsiasi ma il fottutissimo principe delle tenebre. Il pipistrello più celebre della storia del rock, lo stregone tossico di Birmingham, il simbolo del sabba heavy metal più lungo mai suonato su questa valle di lacrime volgarmente chiamata Terra. Certo, nelle ultime intervista ha affermato più volte che non gli rimaneva più molto da vivere. Ma non si è mai preparati alla morte.

Nel corso degli anni Ozzy ha dato l’impressione di essere immortale, capace di poter sopravvivere al suo mito (diventato ormai da tempo e, ora più che mai, leggenda) e ai suoi eccessi. Di ridere in faccia a quelle overdosi che avrebbero ammazzato chiunque e a quella demenza senile diventata poi Parkinson che, lentamente ma inesorabilmente, gli ha fatto cantare per l’ultima volta Mama, i’m coming home. Ma alla fine la Triste Mietitrice, che ci rende tutti uguali dinnanzi al suo cospetto, lo ha preso.

Ozzy Osbourne durante il concerto di beneficenza Back To The Beginning tenutosi il 5 luglio 2025 e rivelatosi l’ultima esibizione dei Black Sabbath con Ozzy ancora in vita

Ozzy Osbourne, Il vecchio mago di Birmingham

John Michael Osbourne nasce nel 1948, quando l’Inghilterra ancora tossiva polvere da guerra. Ma a lui non bastava respirare: voleva urlare, ringhiare, sconvolgere. E ci riuscì. Con i Black Sabbath inventò un nuovo linguaggio sonoro fatto di riff come martellate, batterie come colpi di cannone e testi come orazioni funebri. Era l’antidoto alla pace hippie, l’incubo dei genitori, il messia delle cantine fumose.

I Black Sabbath nella formazione originale. In senso orario: Bill Ward, Toni Iommi, Ozzy Osbourne e Geezer Butler

Ozzy era un incrocio tra un clown acido e un profeta apocalittico. Una contraddizione ambulante, viva solo quando saliva su un palco e diventava Ozzy, come Clark Kent che si strappa la camicia e si rivela Superman. Ma più fatto.

Il freak che ci ha insegnato a essere liberi

C’era qualcosa di sacro nella sua follia. Qualcosa che non si poteva imitare. Ozzy non era un prodotto, era un virus: ti entrava nelle vene e ti risvegliavi con il bisogno di urlare contro il cielo. Era il simbolo di tutto ciò che il mondo perbene odia: eccesso, droga, risate sguaiate, capelli sporchi, parolacce e presunto satanismo.

Eppure, nessuno ha mai suonato come lui. Nessuno ha mai gridato come lui. Nessuno ha mai fatto ridere così tanto mentre parlava a fatica perché aveva la lingua impastata di gin e Valium.
Era un clown infernale che non chiedeva permesso. Ti entrava in casa con gli anfibi e ti rubava il cuore con una ballata demoniaca.

Sharon, i figli, l’Apocalisse e MTV

La sua vita era un reality show ben prima che diventasse un reality show o che questa forma di intrattenimento largamente conosciuta. The Osbournes , andato in onda su quella cosina che “il potente” ha creato per corrompere il rock di nome Mtv, è stato il punto di non ritorno tra la sacralità del rock e la volgarità del tubo catodico.

Ed è così che la mia generazione ha imparato a conoscerlo. Ma Ozzy, anche lì, era autentico. Scordava i nomi dei figli, parlava con i cani, sbraitava contro l’aria. Lo amavamo per questo.

L’avviso che precedeva la messa in onda su Mtv degli episodi di The Osbournes

E non si può ricordare Ozzy senza celebrare lei, Sharon Arden in Osbourne, che negli anni ha incarnato molti ruoli: angelo custode, moglie e manager. Il principe delle tenebre non ha mai fatto mistero del fatto che, se è riuscito a sopravvivere ai suoi eccessi, è stato per merito di sua moglie. Sharon è stata l’artefice della carriera solista di Ozzy, colei che ha creato l’OzzFest e che è stata capace di far conoscere il Principe delle Tenebre e la sua musica alle nuove generazioni, compresa la mia. Un amore turbolento tra molti bassi e tantissimi successivi alti, durato oltre quarant’anni, che niente e nessuno a parte la morte è riuscito a spezzare.

Sharon (sinistra) insieme ad Ozzy

Ozzy è morto: e ora chi ci resta?

Ci resta il silenzio. Il silenzio che segue l’ultimo accordo. Quel momento in cui il pubblico smette di urlare e cala il buio. È successo davvero: Ozzy Osbourne se n’è andato. Siamo rimasti qui, noi rocker falliti, punk decaduti, metallari invecchiati male e adolescenti brufolosi in cerca di un idolo vero. Guardiamo il cielo e non c’è più quella risata sgraziata a coprire le nostre paure. Ozzy non era certo perfetto. Era l’opposto. Ma era un nostro punto di rierimento. E ora che non c’è più, il rock ha perso l’ultima delle sue divinità. Nessuno potrà prendere il suo posto perché Ozzy non era Era un’esplosione. Una religione. Un’allucinazione collettiva durata settant’anni.

Ozzy in una foto degli anni Ottanta

“We love you all”

Era la sua frase, la sua benedizione urlata con la voce spezzata da decenni di sigarette e whisky. E ora tocca a noi dirla a lui, come un’eco che risuona nel vuoto lasciato dalla sua partenza. Che l’altra dimensione ti accolga come meriti. Con un palco, un microfono e una folla di metallari che non vede l’ora di fare headbanging sotto il tuo sguardo compiaciuto. In ogni caso Ozzy, noi ci vediamo dall’altra parte.

Hank Cignatta

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