No Escape From Now: Ozzy tra mito e dolori
E’ uno di quei giorni in cui i pensieri si divertono ad affollare la mia mente, lambendo quel piccolissimo fazzoletto di normalità che sono riuscito faticosamente a conquistare in tempi recenti. La mia mente vaga al ricordo chi, a me caro, non è più insieme a me per ridere delle piccole cose della vita e ad insegnarmi come ammorbidirla. La mia cagnona Noël è un raggio di sole in una giornata altrimenti grigia, quell’espressione buffa di cui si ha bisogno nel momento giusto per dare un calcio a quel grigiore. Mentre si accoccola a me accendo il mio televisore intelligente, vagando sui vari servizi in streaming in cerca di qualcosa che mi tenga compagnia in attesa di dormire il sonno dei giusti. Capito su un documentario dedicato ad Ozzy Osbourne: guardo la locandina e non esito neanche un istante a premere play.

C’è qualcosa di così ironico (eppure di profondamente giusto) nell’idea che un film intitolato No Escape From Now racconti gli ultimi sei anni di un uomo che ha trascorso larghi tratti della sua vita fuggendo da sé stesso, dalle etichette, dalle sostanze, dalla fama e più volte perfino dalla morte. Ozzy Osbourne, il Principe delle Tenebre, l’uomo che ha morsicato un pipistrello vivo e che ha dominato decenni di rock facendo scacco-matto alla normalità ora è il protagonista di un documentario che lo immortala nel suo momento più umano e vulnerabile.

Decido quindi di tuffarmi a capofitto dentro questa storia perché non basta raccontare i fatti: bisogna respirare la polvere del palco, sentire il suono scarno delle ossa rotte e cogliere il riflesso lucido dello specchio nella giacca di pelle.
No Escape from now: La caduta e la resa dei conti
C’è un suono che precede Ozzy Osbourne. Non è una chitarra, non è un urlo, non è nemmeno un demone che gratta dal fondo dell’inferno per uscire: è un ronzio. Quel ronzio elettrico che accompagna i grandi momenti di verità. Ozzy Osbourne: No Escape From Now, il nuovo documentario prodotto da Sony Music Entertainment, non è un tributo, né un epitaffio. È un esorcismo. Un tentativo disperato di comprendere cosa accade nella mente di un uomo che ha visto tutto, perso tutto, amato troppo e sopravvissuto a se stesso con l’ironia di chi non si è mai davvero preso sul serio.

È un film che non racconta Ozzy: lo contiene. Come un veleno in una bottiglia di vetro incrinata.

Eppure la musica diventa la medicina. Ozzy stesso lo ammette: «Fare musica e realizzare due album mi ha salvato. Senza musica sarei impazzito». Nel film, diretto da Tania Alexander per la piattaforma Paramount+, si assiste a sessioni in studio, momenti di registrazione, sguardi stanchi ma determinati: l’album Ordinary Man (2020) e Patient Number 9 (2022) diventano non soltanto prodotti discografici ma atti di sopravvivenza.

Per un uomo che ha vissuto come un uragano il silenzio del dolore era una tempesta da sopportare. In quello stesso silenzio si racchiude una delle più notevoli contraddizioni della rock-star: l’immagine potente e invincibile contro l’ombra fragile che gli cammina accanto.
No escape from now: anatomia di un mito che rifiuta la morte
Ozzy Osbourne non è un personaggio, è una diagnosi. Nel corso dei decenni, si è trasformato in un sintomo collettivo: quello del mondo che non riesce più a distinguere tra dannazione e spettacolo. Il documentario No Escape From Now non cade nella trappola del biopic idolatrico niente sviolinate, niente redenzioni, niente lacrime patinate. Qui il rock è una malattia cronica e Ozzy è il suo paziente numero nove.

In questo spazio di dolore condiviso, la famiglia non è solo spettatrice: è co-protagonista della lotta. Come giornalista gonzo mi piace pensare che l’obiettivo della cinepresa fosse a mano libera, che come una stretta di mano al buio prende lo spettatore e lo trascina con Ozzy nella stanza dove la verità è silenziosa.

Ogni fotogramma vibra come una pulsazione arteriosa, una scarica di dopamina elettrica che racconta più della discografia intera. La regia non cerca la linearità ma la febbre: flash, frammenti, ricordi, confessioni che sembrano uscire dal buio come spettri di backstage. E mentre il montaggio accompagna lo spettatore in questo labirinto psichedelico, Ozzy appare non come un eroe decaduto ma bensì come un sopravvissuto all’apocalisse della cultura pop, quella che lui stesso ha contribuito a creare.
La voce del caos: quando la follia diventa grammatica
Non serve spoilerare per dire che la vera protagonista del documentario è la follia. Quella lucida, metodica e quasi tenera. Ozzy non parla ma evoca. Ogni sua parola sembra emergere dal magma di un subconscio che ha visto troppi palchi, troppi inferni e troppi ritorni.

C’è una scena in cui basta il modo in cui ride per capire tutto: la disperazione e la gioia sono la stessa cosa, solo che una ha una chitarra di sottofondo. In No Escape From Now, la follia non è patologica ma poetica. È la lingua madre del rock, l’unica che Ozzy abbia mai parlato con coerenza.

E qui il documentario colpisce duro: non con immagini shock, ma con verità che non hanno bisogno di essere spiegate.
Ozzy non si scusa, non si giustifica, non si glorifica. Semplicemente è. E in un mondo che vive di finzioni calibrate questa è la forma più estrema di anarchia possibile.
Tra l’inferno e il divano: il culto dell’umanità imperfetta
Chi si aspetta il solito racconto da rockstar, con limousine, eccessi e hangover spirituali, sbaglia indirizzo. No Escape From Now è più intimo, più sporco, più sincero. È Ozzy nel suo spazio vitale: quello dove la leggenda incontra l’uomo e l’uomo non sa cosa farsene della leggenda.

L’effetto è spiazzante. Vedi il Principe delle Tenebre e pensi: potrebbe essere mio padre. Ma poi lo senti parlare di Dio, del diavolo, della musica come anestesia e ti rendi conto che Ozzy non appartiene a nessun regno umano. La sua casa è una dimensione dove convivono ironia, dolore e distorsione. E il documentario lo mostra senza filtri, come un reality cosmico sulla fragilità mascherata da potenza.
Sharon, l’ombra luminosa di Ozzy
Non si può parlare di Ozzy senza parlare di Sharon, e il documentario lo sa.
La presenza di Sharon Osbourne è quella di un faro che illumina un abisso, non per redimerlo, ma per ricordarci che anche l’oscurità ha bisogno di una gestione logistica. Il rapporto tra i due non è romanzato: è il nervo scoperto della storia, la linea di contatto tra un uomo distrutto e la donna che lo ha ricostruito cento volte, spesso contro la sua stessa volontà. L’amore, in questa narrazione, non è fiore né prigione: è una gabbia dorata con vista sull’inferno.

La colonna sonora del disastro: suoni come ossessioni
Chi guarda No Escape From Now deve dimenticare l’idea classica di soundtrack. Non è un accompagnamento ma una presenza. Ogni nota è un ricordo, ogni assolo è un graffio inciso in modo profondo nella carne della memoria. La musica qui non serve a emozionare ma a testimoniare. A ricordarci che Ozzy non è stato un frontman ma un medium tra due mondi: quello dei vivi e quello dei dannati che non riescono a smettere di ballare.

No Escape From Now: non un addio, ma un mantra
Il titolo stesso del documentario è un enigma, una minaccia e una preghiera: No Escape From Now.
Non si fugge dal presente. Non si sfugge da sé stessi. Ozzy lo sa meglio di chiunque altro: il tempo non guarisce, amplifica. E aiuta ad imparare a convivere con il dolore. E in questo eterno presente di flashback e fantasmi lui rimane lì, con quella voce rotta che è diventata una nazione spirituale per tutti i disadattati del mondo.

Alla fine del film non si prova pietà né idolatria ma una strana forma di pace. Come se Ozzy ci avesse concesso il privilegio di sbirciare per un attimo nel caos e di scoprire che quel caos, in fondo, ci somiglia. Mentre ho ancora negli occhi le immagini di questo documentario e alcune lacrime che non sono riuscito a ricacciare indietro mi rigano il volto, guardo una foto sorridente di mio padre. Provo una sensazione di pace dove quel dolore per quella scomparsa improvvisa diventa un pensiero affettuoso rivolto lassù, dove sia lui che Ozzy sono in una dimensione dove le dinamiche di questa strana e pazza realtà non valgono nulla.
Hank Cignatta
Riproduzione riservata ©
Post a Comment
Devi essere connesso per inviare un commento.
