Bobby Solo, storia di una star senza tempo

Bobby Solo, storia di una star senza tempo

Il caldo appanna le mie già compromesse facoltà mentali. Fuori alcuni lampi illuminano a giorno il cielo di un’appiccicosa Nevrotic Town (o Torino, se siete amanti della meteorologia) mentre io vago su Youtube in cerca di qualcosa che mi intrattenga. Mi imbatto improvvisamente in un vecchio spot di un servizio telefonico, il 1288, che permetteva a chi lo componeva di poter venire a conoscenza di diversi servizi quali negozi e molto altro. Correva il lontano 2001 e quella serie di pubblicità si avvaleva della presenza di pupazzi rossi chiamati Pelotti e della voce di Bobby Solo che terminava ogni reclame con lo slogan “non c’è dodici senza ottantottooh”. E grazie a quella geniale campagna pubblicitaria la mia generazione ha scoperto Bobby Solo.

Un viaggio insolito nella vita del “Presley italiano”

La storia di Bobby Solo non è quella di un artista qualsiasi. È un’avventura attraverso decenni di cambiamenti musicali, sociali e culturali italiani. Nato Roberto Satti, a Roma, il 18 marzo 1945, Bobby è l’incarnazione nostrana del sogno rock americano degli anni Sessanta. Con il suo inconfondibile timbro di voce e quell’immagine che rievocava Elvis Presley, conquistò rapidamente i cuori e le classifiche italiane. Tuttavia, il suo percorso ha preso svolte inaspettate, capaci di attraversare generazioni e di riportarlo alla ribalta perfino, come già scritto, tra i giovani del Duemila grazie a un singolare spot pubblicitario: quello del “12 88”.

Bobby Solo e la rivoluzione rock italiana

Quando Bobby Solo irrompe sulla scena musicale italiana, lo fa in maniera dirompente. Nel 1964, appena diciannovenne, partecipa per la prima volta al Festival di Sanremo con la celebre “Una lacrima sul viso”. Pur non riuscendo a cantare in diretta a causa di un improvviso abbassamento di voce, il playback gli porta comunque una fama inattesa. Il brano diventa immediatamente un successo, vendendo oltre tre milioni di copie in tutto il mondo. Gira in rete anche una rara versione disco music del brano pubblicata nel 1978 cantata da Bobby in inglese, che mette in mostra tutta la sua poliedricità artistica.

La sua immagine, capace di evocare il fascino di Elvis Presley, gli conferisce un’aura internazionale. Brani come “Se piangi, se ridi” e “Non c’è più niente da fare” lo consacrano definitivamente, facendolo diventare un punto di riferimento della musica leggera italiana.

Da icona pop a figura cult: gli anni Ottanta e Novanta

Negli anni Ottanta e Novanta, Bobby Solo non gode più della stessa notorietà dei suoi inizi, ma resta comunque una figura amatissima, presente nelle trasmissioni televisive più popolari. È un periodo di revival, caratterizzato da un nuovo interesse per i grandi successi degli anni Sessanta. Bobby diventa così una sorta di leggenda vivente, un simbolo nostalgico ma sempre gradito.

In quegli anni, la sua carriera è scandita da concerti, partecipazioni a programmi tv e nuovi tentativi discografici che, pur non riuscendo a eguagliare i fasti dei primi anni, mantengono viva l’attenzione del pubblico più fedele.

La rinascita nel Duemila: il boom dello spot “12 88”

Chi avrebbe mai immaginato che Bobby Solo potesse diventare l’idolo di una generazione nata ben dopo il suo periodo d’oro? Eppure, all’inizio del nuovo millennio, è successo proprio questo. Nel 2001, Bobby Solo presta volto e voce allo spot televisivo di un servizio telefonico di informazioni: il celebre “12 88”. L’idea geniale dello spot è semplice ma irresistibile: Bobby intona un jingle orecchiabile dove canta un testo che fa rima con il numero del servizio.

ncredibilmente, il tormentone diventa virale molto prima che i social network trasformassero questa parola in un cliché. Bobby diviene immediatamente riconoscibile anche tra i ragazzi che mai avrebbero ascoltato le sue hit del passato, grazie al suo tono di voce molto simile a quello di Elvis Presley. Quello spot non solo riporta Bobby al centro dell’attenzione ma lo trasforma in un fenomeno popolare tra gli adolescenti e i ventenni.

Il fascino virale di un fenomeno inatteso

Come è potuto accadere? Probabilmente il segreto risiede nella combinazione tra ironia e nostalgia, tipica dell’epoca Duemila, un periodo di transizione e sperimentazione mediatica. Bobby Solo, con la sua immagine un po’ retrò e il carisma da intrattenitore d’esperienza diventa una figura tanto simpatica quanto irresistibile. Il risultato è una sorprendente seconda giovinezza artistica, che culmina nella partecipazione a trasmissioni televisive moderne fino al ritorno sulle scene live davanti a platee eterogenee.

Il Bobby Solo di oggi: icona trasversale di stile e simpatia

Oggi Bobby Solo è un personaggio amato e rispettato da generazioni diverse: i nostalgici che ricordano i suoi grandi successi degli anni Sessanta, ma anche quei giovani adulti che lo hanno conosciuto, quasi per caso, attraverso il tormentone pubblicitario del “12 88”. Continua a esibirsi dal vivo, ed è una presenza gradita nelle trasmissioni televisive di intrattenimento e nei festival musicali vintage. Il suo sorriso, accompagnato da quell’inconfondibile capigliatura brillante e dalla sua chitarra sempre pronta a suonare è ormai parte del patrimonio pop italiano.

Conclusioni: l’eterna giovinezza di Bobby Solo

Quella di Bobby Solo è una storia che va ben oltre il percorso di un artista comune. È un esempio perfetto di come talento, ironia e capacità di reinventarsi possano creare ponti tra generazioni apparentemente lontanissime. Da icona rock degli anni Sessanta a idolo pop virale dei Millennials grazie a un improbabile jingle pubblicitario: Bobby Solo rappresenta una delle pagine più curiose, divertenti e affascinanti della storia dello spettacolo italiano.

Hank Cignatta

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