Ben Aronoff, il re dele onde e dei proiettili

Ben Aronoff, il re dele onde e dei proiettili

Miami, cocaina e catamarani: l’odore dell’America

Ben Aronoff. Un nome che sfreccia come un motoscafo sulle acque azzurre di Biscayne Bay, lasciando dietro di sé una scia di benzina, soldi e tragedie. Un nome che suona come una minaccia sussurrata tra due mojito. Un imprenditore, un sognatore, un fuggitivo. Ma anche il simbolo perfetto dell’America degli anni Ottanta: veloce, brillante e fottutamente autodistruttiva. Sono atterrato a Miami con la sbornia di tre aeroporti addosso e l’odore di pioggia tropicale nei polmoni. Obiettivo: infilarmi tra le crepe della leggenda e raccontare la verità (o qualcosa che ci somigli) su uno degli uomini più incredibili mai sbucati fuori dalla plastica melting pot della Florida.

Bob Aronow davanti all’insegna della sua scuderia

Ben Aronoff, l’uomo dietro la Offshore Power Boats, non era solo un costruttore di motoscafi. Era un artista, un pioniere, un cowboy su acqua salata. E mentre scrivo queste righe, il mare fuori dal mio motel mugghia come se avesse qualcosa da dire anche lui. Forse conosce la storia meglio di tutti noi.

Dalla Jersey a Miami: l’ascesa del messia del motore

Aronoff non nasce a Miami. Ci arriva. E quando ci arriva, lo fa come un generale che sbarca sulla spiaggia per prendersi tutto. Nato nel New Jersey, figlio della middle class e del sacrosanto sogno americano, capisce molto presto che il futuro non si trova nei grattacieli ma nella velocità. Sbarca in Florida con l’odore del fallimento addosso, ma anche con una visione: costruire i motoscafi più veloci del mondo. E ci riesce. Negli anni Settanta e Ottanta la sua Offshore Power Boats diventa leggenda. I suoi bolidi non solo vincono gare internazionali ma diventano status symbol per miliardari, trafficanti e attori falliti in cerca di redenzione acquatica.

Tra Don Johnson e Pablo Escobar: il potere delle onde di Ben Aronoff

Aronoff si muove in un’epoca in cui Miami è la Las Vegas degli oceani: cocaina, nightlife, sparatorie, tangenti. Il suo ufficio diventa una sorta di santuario profano dove sfilano star di Miami Vice, boss della droga colombiani, poliziotti corrotti e playboy con più Rolex che capelli. lI potere acquatico è quello totale e lui lo possiede. Ma come ogni figura tragica che si rispetti, Aronoff si avvicina troppo al sole. E si brucia. Alcune delle sue barche finiscono nelle mani sbagliate. Non è un segreto, anzi è quasi una gag ricorrente. Se negli anni Ottanta volevi spacciare coca e non volevi farti beccare, ti serviva una Offshore Power Boat. Aronoff non fa domande, costruisce e vende. Ma ogni dollaro sporco ha il peso di un proiettile.

Il prezzo del mito: ombre, sangue e rimorsi di Ben Aronoff

Non c’è leggenda senza caduta. La sua arriva sotto forma di tragedia personale: il figlio viene ucciso. Il suo nome comincia a comparire in rapporti poco piacevoli dell’FBI. Le barche si fanno meno veloci, i clienti più silenziosi e le notti più lunghe. Scappa, si reinventa, cambia nome. L’uomo che ha conquistato il mare con la forza del motore ora lotta per non affogare nei suoi stessi ricordi. Il film Speed Kills (di cui parleremo prossimamente) del 2018 con John Travolta prova a raccontarlo, ma fallisce miseramente. Troppa fiction, poca verità. Perché Ben Aronoff non è solo un personaggio, è un’epoca. E l’epoca non si recita, si vive. E poi si racconta. Magari a colpi di whisky e dita tremanti sulla tastiera, come ora.

Epilogo: Ben Aronoff e la scia lasciata da un uomo che ha corso troppo

Oggi, in un mondo che viaggia in elettrico e si illude di essere sostenibile, il nome di Ben Aronoff suona come una bestemmia nostalgica. Ma l’eredità resta. Ogni volta che un motoscafo sfreccia come un razzo liquido, ogni volta che un uomo sogna di dominare la velocità, il fantasma di Aronoff ride da qualche parte. Ben Aronoff non era buono né cattivo. Era un riflesso fedele di ciò che siamo quando smettiamo di fingere: creature fameliche che vogliono tutto, subito, senza limiti. E alla fine, forse aveva ragione lui. Perché in fondo, chi cazzo vuole vivere lentamente?

Hank Cignatta

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