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    Panico a Needle Park, un viaggio oscuro nel cuore dell’eroina

    Il calendario segna l’ultimo dell’anno, la morte di trecentosessantacinque giorni soddisfacenti che muoiono per lasciare il posto ad altri fatti di buoni propositi che verranno puntualmente mancati. Fuori luminose contraeree e rumorosi colpi di mortaio sono i vagiti di questo neonato duemilaventicinque: spalmato sul divano del mio appartamento guardo la mia Noël russare in pace per nulla disturbata dalle strane usanze degli umani per festeggiare il fatto che il proprio pianeta abbia fatto un giro completo attorno al Sole e la accarezzo amorevolmente. Tra le varie minchiate vacue di questo capodanno mi imbatto in un film del 1971 intitolato Panico a Needle Park, con Al Pacino alla sua seconda prova da attore in lungometraggio e nel primo ruolo da protagonista. Mi metto comodo e mi abbandono nella visione di questo classico. Una visione in puro stile Gonzo di Panico a Needle Park.

    Da sinistra: l’attrice Kitty Winn interpreta Helen, fidanzata di Bobby (Al Pacino)

    Needle Park: la giungla urbana della disperazione

    Panico a Needle Park è un film diretto dal cineasta Jerry Schatzberg e segue le vicende di Bobby (Al Pacino), il quale ha un fratello ladro. E’ uno spacciatore che vive di espedienti ed entra ed esce dalla galera da quando era piccolo: la sua vita si incrocia con quella di Helen, una ragazza che ha abbandonato la famiglia per seguire i suoi studi di arte a New York. In seguito ad un aborto conosce Bobby, che ha come base di spaccio Sherman Square, nell’Upper East Side di Manhattan a New York e che negli anni Sessanta e Settanta era uno dei poli dello spaccio della Grande Mela. Bobby passa dal consumare saltuariamente l’eroina a diventarne completamente schiavo, così come anche Helen. Da lì a poco la polizia effettua una retata con la quale sequestra un grosso carico di droga: ciò fa si che non si trovi neanche una dose, lasciando all’asciutto spacciatori e consumatori e mandando in panico (da qui il significato del titolo del film) i tossicodipendenti di Needle Park. Helen vuole aiutare Bobby, arrivando anche a spacciare droga e a prostituirsi per suo conto. Ma questa vita inizia a stare stretta ad Helen, la quale parla con un ispettore di polizia tradendo Bobby, il quale viene arrestato e condannato a sei mesi di carcere. Una volta fuori, Bobby trova Helen ad attenderlo ed insieme vanno incontro al loro destino.

    Un tuffo oscuro nel ventre dell’eroina

    Se il cinema fosse una siringa, Panico a Needle Park del 1971 sarebbe una di quelle sporche, arrugginite, usata più volte, piena di verità crude e liquide illusioni. Questo film è più di una semplice pellicola: è una puntura diretta al cuore pulsante dell’umanità. Si tratta di uno dei più importanti manifesti del degrado urbano dell’America degli anni Settanta, una poesia disperata che proviene dalle viscere della Grande Mela che non dorme mai.

    Fotogramma tratto da Panico a Needle Park

    New York anni ’70: la città che respira degrado e poesia

    Jerry Schatzberg mette in scena una regia spoglia, quasi documentaristica. Non è una storia per stomaci deboli: c’è solo il crudo squallore di vite che si consumano una dose alla volta. La macchina da presa è implacabile, testimone muta di braccia bucate, occhi vitrei e sogni infranti. Pacino, nel suo primo ruolo da protagonista, è un’esplosione di talento grezzo. Con la sua energia febbrile e il carisma da strada, ti trascina nel baratro senza darti il tempo di respirare. La visione di questo film lascia una persistente sensazione di amaro che non se ne va. E’ come camminare scalzi su dei vetri rotti dove la realtà si palesa nella sua accezione più brutale.

    La rivoluzione del cinema realistico negli anni ’70

    Quando Panico a Needle Park uscì nel 1971, Hollywood era in pieno fermento. Il cinema americano stava abbandonando i fasti degli anni Cinquanta e Sessanta per immergersi in un nuovo realismo, più crudo e diretto. Questo film è uno degli esempi più significativi di tale rivoluzione. Non ci sono filtri, non c’è un lieto fine; c’è solo la verità, nuda e cruda. La macchina da presa è un occhio che osserva senza giudicare per poter documentare ciò che avviene nel mondo reale. La scelta di girare in stile semi-documentaristico amplifica l’impatto emotivo e fa emergere il film come una delle opere più influenti di quell’epoca. Un capolavoro assoluto da recuperare per comprendere la portata avuta dalla Nuova Hollywood e dei suoi grandi protagonisti, sia davanti che dietro la macchina da presa.

    Hank Cignatta

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    Sono la mente insana alla base di Bad Literature Inc. Giornalista pubblicista, Gonzo nell’animo, speaker radiofonico, peccatore professionista, casinista come pochi. Infesto il web con i miei articoli che sono dei punti di vista ( e in quanto tali condivisibili o meno) e ho una particolare predisposizione a dileggiare la normalità. Se volete saperne di più su di me e su Bad Literature Inc. leggete i miei articoli. Ma poi non dite che non siete stati avvertiti.

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