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    Gli Jethro Tull e il potere taumaturgico rock del flauto traverso

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    L’estate è finita. Almeno dal  punto di vista pratico. Vi svegliate per tornare in ufficio, magari in una giornata piovosa dove avete dimenticato l’ombrello mentre aspettate l’autobus alla fermata, che giunge tardi e pieno fino all’inverosimile.  Prima di affrettarvi a scorrere il breviario per dimostare la vostra attitudine per partecipare alle olimpiadi delle imprecazioni, non disperate. La soluzione per migliorare la vostra giornata c’è e si chiama Jethro Tull, una vera e propria scarica di dopamina sonora. Il gruppo prende il nome da colui che è stato l’inventore della prima seminatrice meccanica e proprio come il padre dell’agricoltura moderna, anche Ian Anderson e soci sono stati dispensatori di buona musica e, perchè no, di cultura.

    Certo, oggigiorno qualcosa di buono in giro c’è sicuramente. Ma manca quello spirito ribelle e creativo che ha permesso a tanti gruppi (Jethro Tull compresi) di creare qualcosa capace di resistere alla prova del tempo. La fortuna della band di Blackpool è da ricercarsi anche nella figura del suo carismatico cantante e leader Ian Anderson. Negli anni egli ha saputo incarnare la figura del “pifferaio magico” grazie al suono iconico della sua voce e del suo flauto traverso, vere e proprie impronte stilistiche di una visione unica e particolare di fare ed intendere il rock. Proprio quel suono ha il potere di ipnotizzare l’ascoltatore, di prenderlo per mano e di accompagnarlo in un’allegra e distensiva dimensione onirica contro il logorio della vita moderna.

    Ian Anderson, il pifferaio magico del rock

    Il gruppo britannico è anche difficile da inserire nei vari cassetti dei sottogeneri che tanta sicurezza da’ ad alcuni colleghi della stampa di settore e non solo: nel corso della loro prestigiosa carriera sono infatti passati con cristallina bravura dal folk rock all’hard rock, giungendo al progressive per poi toccare anche la musica classica con la loro versione di Bourée (basata sulla Suite per liuto n.1 BWV 996 di Johann Sebastian Bach a cui Anderson ha aggiunto una sua improvvisazione nella parte centrale del brano). Non c’è di certo da sorprendersi se, a distanza di quasi mezzo secolo, la musica della band inglese continua ad emozionare. Se non credete alle parole del povero bastardo che vi scrive, mettete su Thick As A Brick, Aqualung o Locomotive Breath, solo per citare le più famose ed emozionanti. Ascoltare per credere.

    Hank Cignatta

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    Sono la mente insana alla base di Bad Literature Inc. Giornalista pubblicista, Gonzo nell’animo, speaker radiofonico, peccatore professionista, casinista come pochi. Infesto il web con i miei articoli che sono dei punti di vista ( e in quanto tali condivisibili o meno) e ho una particolare predisposizione a dileggiare la normalità. Se volete saperne di più su di me e su Bad Literature Inc. leggete i miei articoli. Ma poi non dite che non siete stati avvertiti.

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