Sangue, glam metal e distruzione: la storia dei Mötley Crüe
La Dany California del momento sfoggia una t shirt nera con stampata sopra la copertina di Dr. Feelgood, album dei Mötley Crüe del 1989. I suoi capezzoli, duri come chiodi, spuntano sensualmente da sotto la t shirt: mentre si accorge che i miei sensi sono ipnotizzati dalla forma e dalla rotondità dei suoi seni le chiedo se quell’album le piace. Inizia a farmi una panoramica sul disco e, in senso più ampio, della band in un modo così lucido che raramente ho sentito. Mi metto comodo e ascolto la sua interessante disamina, interessato a liberare quelle sise dalla costrizione tessile di quella maglietta.

L’odore di benzina e pelle bruciata di Hollywood: la storia dei Mötley Crüe
C’era Los Angeles, e poi c’era l’altro pianeta: la Sunset Strip degli anni Ottanta. Non un luogo, ma una ferita aperta che sanguinava luci al neon, puttane col rossetto sbavato e ragazzi con le giacche borchiate che sognavano di farsi arrestare prima dei venticinque. Lì dentro, quattro pazzi hanno costruito il loro regno: Nikki Sixx col basso come mitragliatrice, Tommy Lee con le bacchette piene di cocaina, Mick Mars che sembrava un alieno ma suonava come se fosse il boia dell’universo e Vince Neil, biondino assassino con la voce da corvo ubriaco.

I Mötley Crüe e la Nascita di un’apocalisse sonora
Non volevano fare musica, volevano incendiare la vita. Nel 1981 i Mötley Crüe non si formarono: esplosero. Non c’era un piano, non c’era un futuro, c’era solo l’idea malata che se non ti uccideva la droga, ci pensava il palco. Quella band era un patto di sangue, un circo tossico itinerante che trasformava ogni concerto in un rituale pagano tra urla, chitarre urlanti e mutandine lanciate come bandiere di guerra.
Shout at the Devil: l’evangelio dei dannati
Nel 1983, con Shout at the Devil, i Crüe diventarono la religione degli adolescenti che volevano bestemmiare contro tutto. Era satanismo di plastica, certo, ma funzionava. Ogni riff era un calcio nei denti della moralità, ogni strofa un invito a sfasciare la cameretta. I genitori li odiavano, i preti li maledicevano e i ragazzi urlavano più forte.
I Motley Crue e La danza con la morte
Nikki Sixx morì davvero, almeno per due minuti, trafitto dall’eroina e resuscitato da una siringa d’adrenalina dritta nel cuore come in Pulp Fiction. Solo che questo non era un film: era la realtà quotidiana dei Crüe.
Incidenti d’auto, carcere, overdose, lacrime e pugni nello stomaco: loro hanno fatto tutto, perso tutto e risputato sangue sul microfono.
È qui che sta la differenza: i Mötley Crüe non hanno recitato la parte dei dannati, lo sono stati per davvero.
Girls, Girls, Girls: pornografia sonora
Girls, Girls, Girls non era un album, era un’erezione collettiva. Strip club, Harley, bottiglie di Jack, preservativi rotti e la certezza che ogni canzone puzzava di sesso non protetto. Tommy Lee trasformava la batteria in una centrifuga dell’anima, mentre Neil gridava come uno che ha sniffato benzina dal tappo di una tanica. E la gente amava tutto questo, perché i Crüe erano quello che molti volevano vivere ma non avevano il coraggio di toccare.
Netflix e la rinascita con “The Dirt”
Nel 2019, quando Netflix lanciò The Dirt, il mito dei Mötley Crüe tornò a gocciolare sangue fresco nelle vene delle nuove generazioni. Tratta dalla loro leggendaria biografia, la pellicola mostrava senza filtri sesso, droga, overdose, backstage infami e la totale assenza di compromessi. Non era solo un biopic: era un manuale di sopravvivenza alla follia. Ed è per questo che oggi i Crüe suonano ancora davanti a stadi pieni, come vampiri che si nutrono della nostalgia sporca degli anni Ottanta e la trasformano in nuovo combustibile.
I Mötley Crüe oggi: la leggenda che non muore
Mick Mars si è ritirato, maledetto da una malattia che avrebbe fermato chiunque, ma i Crüe non hanno mai accettato il concetto di fine. Vince Neil combatte con la voce e il peso degli anni, Tommy Lee continua a sembrare posseduto da un demone adolescenziale, Nikki Sixx è sopravvissuto a sé stesso e al suo inferno privato. Eppure il loro nome rimane inciso a fuoco nel DNA del rock. Perché i Mötley Crüe non sono mai stati solo una band: sono stati la rappresentazione vivente dell’idea che la vita è un party da devastare finché non restano che cenere e stroei da raccontare. In prima persona o da altri.
Hank Cignatta
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