Addio ad Hulk Hogan, l’ultimo supereroe americano

Addio ad Hulk Hogan, l’ultimo supereroe americano

Hulk Hogan è morto. Sì, per davvero. Il 24 luglio. Non è una trovata da pay-per-view e non è uno shoot. Stavolta il leg drop definitivo l’ha preso lui, quello della Morte con la falce. Ed è strano scriverlo, perché uno così sembrava destinato a sopravvivere anche all’Apocalisse. Un po’ come Ozzy. Uno che ha fatto body slam a André the Giant, portato il wrestling in prima serata e venduto più bandane gialle di quante ne esistano in un paese normale.

Hulk Hogan nella sua tipica posa, intento a fare a pezzi la canottiera che indossava

Ma ora purtroppo se ne è andato. E con lui una parte nostalgica e profondamente americana della nostra infanzia. È come se fosse morto Babbo Natale ma quello che flette i muscoli, lancia per aria degli omoni grossi quanto o più di lui e che ti dice di andare a scuola, di mangiare i tuoi cereali e soprattutto di non drogarti.

Hulkamania: La Religione laica degli Anni Ottanta

Chiariamo subito: Hulk Hogan non è mai stato solo un wrestler. Era un’idea, un messia, un meme prima che esistessero i meme. Un Golem costruito per dare ai bambini americani un eroe che potesse spaccare i culi ai cattivi russi, agli arabi, ai mostri e possibilmente anche alla noia del doposcuola. Hogan non saliva sul ring: discendeva sul ring, con “Real American” nelle casse, come se qualche divinità avesse deciso di entrare nella WWF (oggi WWE) con un mullet biondo ossigenato e centoquaranta chili di massa muscolare. E non c’era niente capace di rappresentare al meglio l’America Reaganiana meglio di Hulk Hogan.

I suoi promo erano deliri evangelici, roba da setta: “Say your prayers, eat your vitamins, and you will never go wrong!”
Traduzione: ingoia tutto quello che ti diamo — pillole, ideologie, merchandising — e sarai invincibile come me. Solo che lui non era invincibile. Era finto, come tutto il resto. Ma Cristo, che spettacolo.

Hulk Hogan Dietro le Quinte: Steroidi, Ego e Bugie

Odio doverlo fare ma devo. Devo fare una netta e sincera distinzione tra la maschera di Hulk Hogan e la sua indole umana. Se togli la scenografia, Hulk Hogan era Terry Bollea. E Terry Bollea era una creatura affamata di fama, soldi e validazione.
Dietro l’aura da eroe mitologico muscoloso si celava l’uomo che testimoniò sotto giuramento di avere il pisello più piccolo del personaggio che interpretava. Sul serio. In tribunale. Caso Gawker, 2016. Ecco a voi, brutti bastardi curiosi. Buona visione.

Era anche l’uomo che negò l’uso di steroidi finché venne beccato. Che sabotò carriere, truccò copioni e manipolò dirigenti per restare al centro dello show. Hogan non voleva vincere: pretendeva di essere una divinità nel suo Olimpo luccicante di paillettes e sudore. E lo è stato, per un po’. Poi sono arrivati Bret Hart, The Rock, Steve Austin. E infine internet, che ha ucciso ogni mistero, anche quello dei wrestler invincibili.

Il Lato Oscuro dell’Immortalità Pop

Hogan è stato cancellato, riabilitato, ricancellato, ri-riabilitato. Ha pianto in TV. Ha preso parte a reality show con la famiglia. E con il tempo, senza accorgersene, è diventato la parodia di se stesso, il che è ironico, perché era già nato come parodia di un eroe. Ma proprio per questo non lo dimenticheremo mai. Hogan era eccessivo, falso, goffo, esattamente come la cultura che lo ha creato. Era una bomba nucleare culturale lanciata negli anni Ottanta e le radiazioni sono ancora ovunque: nei film Marvel, nei trailer dei Fast & Furious, nei coach motivazionali su TikTok. E meno male, se mi è concesso dire.

Hulk Hogan era il capitano di quel wrestling che era una macchina da soldi e da intrattenimento perfetta. Intervistati da “Mean” Gene Okerlund oltre ad Hogan vi erano “Macho Man” Randy Savage, Ultimate Warrior, André The Giant, Mr.T e Rick Flair solo per citare i più famosi. E mentre l’America si ripuliva socialmente la coscienza con la campagna antidroga Just Say No i bambini si mettevano in posa come Hulk Hogan. E quella WWF diventata negli anni WWE è lontana anni luce da quella che ha segnato una generazione ed ha fatto la storia.

L’Ultimo Atto di Hulk Hogan: Nessuna Redenzione, Solo Silenzio

Niente red carpet. Niente WrestleMania 58 con Hogan che compare per l’ultima volta. Solo la morte, fredda e bastarda, che se l’è portato via come tutti gli altri. L’ultima volta che ho visto Hogan in TV sembrava una statua di cera che sudava. Ma nel suo sguardo c’era ancora quella scintilla da lunedì sera, quell’arroganza da main event, quella voce roca che urlava “Whatcha gonna do, brother?!”. Adesso lo sappiamo, cosa faremo: lo ricorderemo per quello che era davvero. Una persona che non era perfetta, che è caduta più volte sapendosi rialzare e anche, dannazione, un gigante che ci ha fatto sognare, urlare e credere per un secondo che il bene potesse vincere. Anche se indossava un boa di piume.

Epitaffio per una Leggenda

Hulk Hogan non era buono e non era cattivo. Era l’America in canotta, pronta a strapparsela per far urlare la folla e a far sognare i bambini di poter fare un top rope move per testare la robustezza del divano dei loro genitori. E ora che se n’è andato ci accorgiamo che ci mancherà. Perché senza di lui, il wrestling non è più wrestling. È solo una costosa finzione senza il suo semidio. Addio, Hollywood Hogan. Ci hai fregati tutti, ma lo rifaremmo ancora. E ci sentiamo tutti un po’ più mortali senza di te.

Hank Cignatta

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