CIA, droga e omicidi: il caso di Kiki Camarena

CIA, droga e omicidi: il caso di Kiki Camarena

Il Messico, la Morte e la DEA: Benvenuti nell’Incubo

C’è un momento preciso in cui la guerra alla droga smette di essere una metafora e si trasforma in carne viva, sangue coagulato e urla soffocate. Quel momento si chiama Enrique “Kiki” Camarena. Un agente della DEA con la faccia da ragazzino e gli occhi pieni di una fede incrollabile nella giustizia. Un uomo che entrò nella tana del lupo messicano con l’illusione di poterlo domare. Ne uscì soltanto il cadavere. A pezzi. Siamo nel Messico degli anni Ottanta, una distesa di sabbia rovente, campi di marijuana grandi quanto stati americani e un patto silenzioso tra narcos, governo e omertà. Camarena arrivò lì con l’incoscienza di chi crede ancora che il bene e il male siano due entità separate. Non lo erano. Non lo sono. E lui lo scoprì nel modo più brutale possibile.

Enrique “Kiki” Camerana

Chi Era Davvero Kiki Camarena?

Ex marine, ex poliziotto, figlio dell’America profonda, Camarena si unì alla DEA nel 1974, portando con sé un misto di idealismo latino e rigore militare. Parlava spagnolo, capiva la cultura, e soprattutto, sapeva infiltrarsi. Questo lo rese perfetto per l’Operazione in Messico, dove la DEA voleva stanare l’inafferrabile Cartello di Guadalajara.

Kiki Camerana durante il periodo di militanza nei Marines

Il suo compito era semplice sulla carta: raccogliere informazioni, costruire dossier, mappare i campi, trovare il bandolo della matassa. Nella pratica, significava mettere il naso dove nessuno doveva ficcarlo, sporcarsi le mani in un Paese dove la corruzione aveva radici più profonde del peyote. Camarena non si tirò mai indietro. E fu questo il suo peccato.

L’Inferno di Rancho Búfalo, gli inizi di Kiki Camarena

Il colpo grosso arrivò nel 1984, quando grazie anche al lavoro sotto traccia di Camarena, l’esercito messicano scoprì Rancho Búfalo, una piantagione di marijuana da oltre 2.500 ettari, gestita dal cartello di Rafael Caro Quintero, Miguel Ángel Félix Gallardo e Ernesto Fonseca Carrillo. Valore stimato? Più di 8 miliardi di dollari.

Nella foto: Rafael Caro Quintero e l’immensa piantagione di marijuana del Rancho Bùfalo

Un simile colpo allo stomaco non poteva restare impunito. Camarena firmò la sua condanna a morte. Ma non una morte rapida. No. Quello che gli riservarono fu un’esecuzione rituale, un messaggio, una vendetta orchestrata con la complicità di medici, poliziotti corrotti e governi conniventi.

Rapito, Torturato, Distrutto

l 7 febbraio 1985, mentre usciva dal consolato americano a Guadalajara, Camarena venne rapito. Nessun allarme. Nessuna reazione. I suoi sequestratori agirono alla luce del sole. Lo portarono in una villa. Lo torturarono per oltre trenta ore. Gli spaccarono le costole, lo sodomizzarono e lo tennero in vita solo per prolungarne l’agonia. I nastri con le registrazioni delle urla finirono sulla scrivania di Ronald Reagan.

Il suo corpo venne ritrovato un mese dopo, sepolto come spazzatura. Gli occhi cavati. I denti spezzati. L’America ne fece un martire. Il Messico? Alzò le spalle.

Le Ripercussioni: Operazione Leyenda

La morte di Camarena non fu la fine, ma l’inizio. La DEA rispose con l’Operazione Leyenda, la più grande indagine della sua storia. Inviarono agenti ovunque, fecero pressioni sul governo messicano, comprarono giudici, minacciarono funzionari. Volevano giustizia, o qualcosa che le somigliasse.

Rafael Caro Quintero venne arrestato in Costa Rica, ma scarcerato nel 2013 per un cavillo. Datosi alla latitanza, venne catturato dai militari messicani a San Simon, nello stato di Sinaloa . Félix Gallardo? Rinchiuso, ma con più privilegi di un sindaco. Fonseca Carrillo? Ai domiciliari. Tutti, in un modo o nell’altro, protetti da una rete invisibile di potere e denaro.

Felix Gallardo, sopranominato El Jefe de los Jefes, il capo dei capi

Kiki Camarena: Simbolo o Capro Espiatorio?

Oggi il volto di Camarena è sulle magliette, nei poster dei licei americani durante la Red Ribbon Week, la settimana contro la droga. Ma dietro quel volto c’è un abisso. Kiki fu un eroe, certo, ma anche un sacrificio. Gli Stati Uniti lo mandarono a morire sapendo di giocare con il fuoco. Il Messico lo uccise lentamente, con la precisione di chi conosce bene il dolore.

Un cartellone per ricordare Kiki Camarena

Camarena è diventato il simbolo di tutto ciò che non funziona nella guerra alla droga: idealismo cieco, doppie morali, ingerenze politiche e una criminalità così potente da infilarsi tra le pieghe della diplomazia internazionale. La sua morte non ha fermato nulla. I cartelli oggi sono più ricchi, più violenti, più digitali. E i Kiki Camarena del futuro continueranno a cadere, uno dopo l’altro.

Conclusione: Il Sangue non Mente

Questo non è solo il racconto di un agente ucciso. È il racconto di un sistema marcio, di un mondo dove chi dice la verità viene fatto sparire e chi traffica droga guida SUV blindati con la scorta. Enrique Camarena voleva cambiare le cose. Ci ha provato. E l’hanno massacrato per questo. Benvenuti nel lato oscuro della guerra alla droga. Un luogo dove il confine tra giustizia e vendetta è segnato dal sangue di uomini come Kiki. E dove, ancora oggi, nessuno ha il coraggio di guardare davvero.

Hank Cignatta

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