
Federico Faggin: il padre del microchip che ha cambiato il mondo
Federico Faggin è uno di quei nomi che la scuola italiana ti spara in faccia in terza superiore mentre sbadigli sulla tastiera del tuo Acer da battaglia, senza spiegarti chi diavolo sia davvero. Lo etichettano come “l’inventore del microprocessore”, il che è vero, ma è come dire che Bukowski beveva: tecnicamente corretto, ma tragicamente riduttivo. Questo è un viaggio gonzo nel cervello di un uomo che ha fatto da ponte tra l’umanesimo rinascimentale e il caos quantico dell’intelligenza artificiale. Un italiano che non solo ha progettato il primo microchip commerciale della storia, ma che oggi predica la coscienza come nuova frontiera scientifica. Sono venuto a contatto con la sua storia per caso con un documentario, mentre vagavo svogliatamente tra un canale e l’altro. Una cosa capace di dare un senso in una rovente serata d’inizio estate.

Vicenza, 1941: nascere sotto le bombe (e sopra i transistor). L’inzio della storia di Federico Faggin
Federico Faggin nasce in piena guerra mondiale, con il peso di un’Europa in frantumi sulla testa. Ma è proprio da lì che parte la sua corsa. L’Italia post-bellica è un campo di rovine e ingegni repressi. Faggin ci mette poco a capire che se vuoi costruire il futuro devi prima prendere a pugni il presente. Studia fisica, elettronica e tutto quello che ha a che fare con la materia, ma sotto sotto sogna qualcosa di più: la forma della mente.

A 19 anni progetta un piccolo computer a transistor — roba che oggi troveresti in un tostapane intelligente, ma che all’epoca faceva girare le teste degli accademici. E mentre l’Italia ancora si chiedeva se fosse il caso di investire nella televisione a colori, lui aveva già puntato il naso verso la Silicon Valley.
Intel 4004: il silicio come atto poetico
È il 1970. Arriva in California e si ritrova nel ventre della bestia: la Intel. Un nome che oggi puzza di burocrazia e aggiornamenti BIOS, ma all’epoca era un branco di scienziati pazzi (nel senso buono del termine) con budget infiniti e visioni apocalittiche. Faggin ci mette poco a imporsi: diventa il capo progetto del 4004, il primo microprocessore commerciale al mondo. Una bestiolina di silicio che occupava pochi millimetri ma che avrebbe messo in moto l’intero circo della rivoluzione digitale.

Il 4004 non era solo un chip. Era l’idea che l’intelligenza potesse essere miniaturizzata, distribuita, innestata in ogni oggetto. Una rivoluzione portatile. Da lì nasce tutto: personal computer, smartphone, satelliti spia, sex toys intelligenti. Il microprocessore è la bibbia hardware del mondo moderno e Faggin ne è il primo profeta.
Lo psichedelico risveglio: coscienza, IA e fisica quantistica. L’altra vita di Federico Faggin
Poi succede qualcosa. Federico si rompe i circuiti. Non nel senso che smette di funzionare, ma in quello più gonzo e selvaggio: si chiede se l’universo sia più di una macchina ben oliata. Si butta sulla filosofia, sulla coscienza, sull’idea che il pensiero umano non sia riducibile a impulsi elettrici. Va oltre l’intelligenza artificiale e afferma: l’IA potrà anche imitare il pensiero, ma non potrà mai essere il pensiero.

Nel suo libro, Silicio, scrive cose che sembrano venire da un’intervista tra Alan Watts e Elon Musk durante un trip collettivo: “La coscienza è il fondamento dell’universo.” Dichiara guerra al materialismo scientifico e inizia a sponsorizzare l’idea che ci sia una scintilla spirituale al cuore della materia.

Oltre la scienza: un Leonardo contemporaneo?
Faggin oggi non è solo uno scienziato. È un mistico tecnofilo. Un italiano in giacca e camicia che parla di entanglement quantistico con lo stesso tono con cui ti parlerebbe del vino della Valpolicella. Ha fondato la “Federico and Elvia Faggin Foundation”, per studiare la coscienza da un punto di vista scientifico. Ma con lui, ogni esperimento sembra anche una preghiera. Non cerca risposte: cerca comprensione. Una roba che nessun algoritmo potrà mai scaricare in una patch.
Conclusione: Federico Faggin, L’ultimo dei visionari
Faggin è l’anti-eroe definitivo della rivoluzione digitale. Un uomo che ha costruito il cervello delle macchine e poi ha capito che mancava l’anima. O forse l’ha sempre saputo. In un’epoca in cui gli influencer parlano di “tecnologia etica” mentre promuovono cover per iPhone biodegradabili, Faggin continua a smontare l’universo pezzo per pezzo per capire dove si nasconde l’essere. In fondo, ha ragione lui: puoi progettare un chip, ma non puoi progettare un pensiero. Il pensiero accade. E magari, se ascolti abbastanza attentamente, è Federico Faggin che lo sta sussurrando da una galassia di silicio e coscienza.
Hank Cignatta
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