Nauru, storia di un paradiso terrestre trasformato in inferno

Nauru, storia di un paradiso terrestre trasformato in inferno

Nauru non è solo un’isola ma bensí un delirio geologico. Un buco nel Pacifico dove il tempo s’incaglia, la logica evapora e l’uomo si riduce a spettro del capitalismo. Atterrare a Nauru (per quel manipolo di anime abbastanza disperate da farlo ) è come sprofondare in una versione tropicale e depressa del film Brazil diretto da Terry Gilliam. Un Truman Show collassato, ma reale. Quello che segue è un racconto impastato di sabbia, fosfato, paranoia e sudore : la cronaca in chiave Gonzo di un viaggio dove nulla accade, ma tutto brucia.

Veduta aerea di Nauru

Nauru, una storia troppo assurda per sembrare vera

Nauru è la distopia post-apocalittica che nessuno ha scritto perché è troppo assurda per sembrare vera. Un solo anello stradale da 21 chilometri. Una popolazione inferiore a quella di una curva di ultras. Un’economia fondata prima sul guano dei volatili preistorici, poi sull’importazione di disgrazie umane: rifugiati, migranti e carcasse ideologiche.

Nel 2025 Nauru non può piú fregiarsi del titolo di Paese piú ricco del mondo: è un cimitero di promesse infrante. Lì tutto è importato: il cibo, le medicine e tanto altro. Perfino la dignità. Ma di certo non la disperazione: quella è locale, autoctona e purissima.

Nauru e l’Estetica del Marcio: Un Museo Vivente del Declino

Ci sono luoghi che si salvano per bellezza. Altri per storia. Nauru si salva per assurdità. Qui i pilastri di roccia calcarea( pinnacles, come li chiamano gli autoctoni) si stagliano come le zanne di un mostro sulla carne arsa della terra. L’interno dell’isola, un tempo miniera a cielo aperto, è oggi un paesaggio lunare privo di vita e pieno di nostalgia malata. Nessun turista, pochi uccelli ma parecchi fantasmi.

Pilastri di roccia calcarea (detti anche pinnacles)

“Camminare nell’entroterra di Nauru,” mi dice un anziano ubriaco con una sgualcita maglia di Bart Simpson scolorita “è come calpestare le ossa di una balena che si è suicidata.” Parole sante, se mai ne ho sentite.

i Centri di Detenzione: Black Mirror in Salsa Papaya

Qui la narrativa gonfia dell’Occidente si sgonfia come un salvagente bucato. L’Australia ha usato Nauru come una sorta di magazzino per migranti. Una esternalizzazione dell’empatia. Ma il governo locale ingrassa e lo fa fino all’obesità: questo non è un modo di dire, in quanto l’obesità è un’epidemia nazionale.

C’è un centro chiamato Processing Centre dove l’umanità si sfilaccia. I detenuti non gridano. Sussurrano. Come se le urla fossero state vendute anch’esse. Ed è lì, tra container metallici e guardie distratte, che ho incontrato John, un ragazzo che scrive poesie sulle bustine del tè.

Una foto del centro di detenzione contro l’immigrazione in Australia sull’isola di Nauru

CoNclusione: nauru è Reale ed è un Incubo che Respira

La cosa più inquietante di Nauru non è il caldo o la è la fame e nemmeno i centri di detenzione. È il silenzio. Quella calma irreale da fine del mondo già avvenuta. Un’isola che non vuole essere trovata.

Hank Cignatta

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