
Herbie Hancock, l’inventore di un nuovo linguaggio musicale
Era una notte di quelle in cui l’universo ti parla attraverso i tasti di un pianoforte. Avevo in mano un cocktail mediocre e nelle orecchie le note distorte di Chameleon. La mia mente vagava tra i synth modulari e gli assoli sconsiderati di un uomo che non è solo un musicista, ma un astronauta del suono. Il suo nome è Herbie Hancock.

Il jazz non era pronto per lui. O forse sì, ma era un jazz che si lasciava travolgere dalle droghe sintetiche degli anni Settanta, iniettato di funk, elettronica e pura sperimentazione. Se Miles Davis era il profeta del jazz elettrico, Herbie era il suo messia, pronto a portare la buona novella ai club fumosi e alle radio FM.
Dalla Blue Note al futuro: la mutazione continua di Herbie Hancock
La storia inizia nei fumosi club degli anni Sessanta, quando Hancock si fa notare da Miles Davis. E se Miles ti vuole nel suo gruppo, vuol dire che hai il fuoco dentro. Hancock, con le sue mani danzanti sui tasti, trasforma il jazz in un organismo vivo, che respira e si contorce tra armonie modali e groove assassini.
Ma Herbie non è tipo da restare incatenato. Dopo aver infiammato il pianoforte con Davis, decide di sporcarsi le mani con l’elettronica. Compra un sintetizzatore, lo accarezza come un amante segreto e poi esplode con Head Hunters (1973), un album che trasforma il jazz in qualcosa di sporco, sudato ed ipnotico. Il basso di Chameleon si incolla al cervello come una droga.
Rockit e la rivoluzione hip-hop di Herbie Hancock
Avanti veloce agli anni Ottanta. L’epoca dei giacche con le spalline, dei neon e delle drum machine. Mentre i dinosauri del jazz cercavano di capire cosa fosse il sintetizzatore, Herbie lo cavalcava come un surfer sulla cresta dell’onda digitale. Poi è arrivato Rockit (1983), ed è successo l’impensabile: un pezzo jazz-funk con il turntablism hip-hop. Un videoclip alieno, con manichini cibernetici e scratch selvaggi che ha tolto il sonno a molti ragazzi della generazione di Mtv.
I puristi del jazz gridavano allo scandalo, ma il mondo ballava al suono di questo Frankenstein musicale. Era la nascita del jazz digitale, l’inizio di una nuova era in cui Hancock diventava il ponte tra il passato e il futuro della musica nera.
Il suono del futuro: elettronica e groove
Gli anni passano, gli strumenti cambiano, ma Herbie rimane un’entità inarrestabile. Colleziona premi Grammy, sperimenta con la musica elettronica contemporanea e collabora con artisti di ogni genere. Dai progetti con Joni Mitchell al jazz contemporaneo più sofisticato, Hancock è l’incarnazione della curiosità musicale.
Nel 2008, vince un Grammy per l’Album dell’Anno con River: The Joni Letters, dimostrando che il jazz può ancora commuovere e innovare. Ma non è un’icona del passato: è ancora in studio, ancora sul palco, ancora pronto a lanciare una bomba sonora nel panorama musicale.

Conclusione: Herbie Hancock, il rivoluzionario senza fine
Ho tentato di scrivere un tributo a Herbie Hancock ma mi sono perso nel suo irresistibile universo. Ho viaggiato tra pianoforti acustici e sintetizzatori Moog, tra jazz puro e contaminazioni futuristiche. Herbie non è solo un musicista: è un portale dimensionale che collega il passato, il presente e il futuro della musica. Se non hai mai sentito Herbie Hancock, fallo subito. Chiudi gli occhi, alza il volume e lasciati risucchiare dal vortice.
Hank Cignatta
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