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    C’era una volta ad Hollywood (romanzo), Quentin Tarantino è (anche) un grande scrittore

    Vi è sempre una grande attesa quando un film di Quentin Tarantino giunge al cinema: ci sono quelli che non vedono l’ora di vedere scene truculente dove persone vengono tagliate in due per diventare delle fontane di sangue e chi invece apprezza ogni minuzioso dettaglio della produzione cinematografica del regista di Knoxville, Tennessee. Generalmente i primi vengono delusi quando non c’è troppo spazio per l’elegia del pulp, diventato negli anni uno dei tratti distintivi di Tarantino: ma è proprio nei dettagli come i dialoghi al limite del paranoico, personaggi surreali e situazioni assurde che si nasconde la genialità di uno dei registi più influenti della sua generazione. Quando C’era una volta ad Hollywood si trovava in cartellone al cinema vicino casa sono andato a vederlo per ben cinque volte. Forse in maniera inconscia ero desideroso di gustarmi quegli ultimi momenti di libertà prima di quell’infame 2020 che avrebbe cambiato per sempre le nostre esistenze. Onestamente non lo so. Ma ogni visione era una scoperta verso dettagli che non avevo notato la volta precedente.

    Da sinistra: Leonardo DiCaprio nei panni di Rick Dalton e Brad Pitt in quelli di Cliff Booth

    E quando nel 2021 il romanzo del film (o novelization, se i termini inglesi vi fanno sentire più alla moda) è arrivato nelle librerie italiane non ho potuto fare a meno di comprarlo. Pubblicato dalla casa editrice La Nave di Teseo nella collana Oceani, fin dalle prime pagine Quentin Tarantino dimostra di essere uno dei grandi narratori di storie contemporanei. Si entra subito nell’atmosfera della Hollywood della fine degli anni Sessanta, dei fantastici protagonisti di questa storia e del punto di vista narrativo con il quale viene raccontata.

    Il romanzo di C’era una volta ad Hollywood, stupenda lettura estiva

    La storia ti porta nel cervello di Rick Dalton, ti fa sentire le sue paranoie, i suoi fallimenti, i suoi sbalzi d’umore da attore sul viale del tramonto. E Cliff Booth? Ah, quel bastardo. Era un personaggio dai mosti abbastanza spicci quello interpretato da Brad Pitt ma in questa versione romanzata Cliff è più complesso, più sporco. Tarantino ti sbatte in faccia il fatto che, dietro quel sorriso rilassato, c’è molto di più. Tarantino scrive come parla e come filma, con quella foga incontrollata che non lascia spazio alle mezze misure. Non gli interessa essere corretto, diplomatico o raffinato. Ed è così che ci piace. Se hai amato il film, il romanzo è come accendere un vecchio amplificatore Marshall a palla: lo stesso brano, solo più forte, più sporco, più graffiante. Si entra all’interno di un vortice di aneddoti, curiosità e dialoghi che ampliano ogni scena.

    Il retro della copertina del libro, con una foto in bianco e nero dell’autore

    Tarantino scava nel passato dei suoi personaggi come un becchino stakanovista che ama il suo lavoro alla follia. Vuole farci conoscere tutto. Vuole che si sappia perché Cliff Booth abbia quella cicatrice, perché Rick Dalton odia così tanto gli hippie. E vuole che si capisca come Charles Manson si incastri nella narrativa, senza mai essere il protagonista vero della storia. Il libro è pieno di dialoghi in puro stile Tarantino: storie che si spezzano, deviazioni di trama che ti fanno gridare “ma dove cazzo stiamo andando?”. Poi ti ricordi che sei in viaggio con Quentin e allora ti rilassi. Non hai più bisogno di sapere dove stai andando. Ti basta esserci. Niente regole. Niente limiti. Solo cinema, sangue e sogni.

    Hank Cignatta

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    Sono la mente insana alla base di Bad Literature Inc. Giornalista pubblicista, Gonzo nell’animo, speaker radiofonico, peccatore professionista, casinista come pochi. Infesto il web con i miei articoli che sono dei punti di vista ( e in quanto tali condivisibili o meno) e ho una particolare predisposizione a dileggiare la normalità. Se volete saperne di più su di me e su Bad Literature Inc. leggete i miei articoli. Ma poi non dite che non siete stati avvertiti.

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