I biopic musicali, la nuova noiosa mania di Hollywood
Dopo il successo planetario di Bohemian Rhapsody, il film che ripercorre i primi quindici anni dei Queen e del suo cantante e leader Freddie Mercury, il filone dei biopic musicali è tornato di prepotente attualità ad Hollywood. Per carità, sono stati realizzati negli anni passati dei film che hanno raccontato (con alterne fortune) le storie artistiche ed umane di cantanti e rockstar, ma dopo lo sdoganamento ricevuto dal film sulla rock band britannica ha convinto molti studios sul fatto che raccontare la storia di questa o quell’altro artista per mezzo di un film sia cosa buona e giusta.
A cavalcare l’entusiastica onda del successo di questo filone di recente riesumazione ci hanno pensato anche i Motley Crue, i quali hanno affidato al film The Dirt il compito di narrare la loro storia alle nuove generazioni. Un progetto piacevolmente riuscito, grazie alla regia di Jeff Tremaine (Jackass) e la scenggiatura di Tom Kapinos (Californication e Lucifer).
Per quanto i gusti siano personali e, in quanto tali, materia di condivisione o meno la situazione sta letteralmente sfuggendo di mano. La musica (e in maniera più dettagliata il rock) è diventata materia da “studiare” nelle sale cinematografiche anziché essere vissuta in prima persona andando ai concerti o ascoltando i dischi. Questo perché, tra una continua crisi creativa dell’Industria dei Sogni e di un panorama musicale in continuo cambiamento ma che non ha realmente nulla da offrire, si tende a mitizzare il passato processandolo attraverso la cosiddetta prova della cellulosa. Se è stato qualcosa di famoso, in grado di incidere una tacca permanente nella storia della musica, allora deve essere raccontato in un film. Se questo avrà successo o meno non è importante, ormai la bolla è esplosa. E sono davvero volatili per diabetici per tutti.
Hank Cignatta
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