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    Gli spot della Levi’s e il loro impatto sulla cultura del XX secolo

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    La pubblicità è l’anima del commercio. Questa semplice regola d’oro ha fatto, nel corso degli anni, la fortuna di diversi marchi e aziende in grado di realizzare campagne pubblicitarie memorabili. Mi riferisco a quegli spot che, visti anche a distanza di tempo dalla loro messa in onda, sono in grado di suscitare emozioni che hanno due scopi ben precisi: ricordarci quanto siamo diventati vecchi e quanta televisione abbiamo visto. Tra queste aziende vi è la Levi’s, autrice di alcune campagne pubblicitarie davvero memorabili. Soprannominata la madre dei Jeans per via dell’abbondante quota di mercato che detiene nel settore dei jeans e dei pantaloni, il marchio fondato nel 1853 dall’imprenditore tedesco naturalizzato statunitense Levi Strauss è entrato nell’immaginario collettivo come il sinonimo per eccellenza per rifersi al capo di abbigliamento in tessuto di denim.

    Un cartellone pubblicitario della Levi’s del 1940

    Per consolidare questa fama, la Levi’s è stata protagonista tra gli anni Ottanta e Novanta di alcuni spot memorabili, alle volte così famosi da entrare nell’immaginario collettivo. Come quello del 1985, che vede protagonista il modello e cantante britannico Nick Kamen entrare in una lavanderia per mettere i suoi jeans in lavatrice e rimanere placidamente in mutande a leggere il giornale tra gli sguardi interrogativi degli uomini presenti e gli ormoni galoppanti del gentil sesso a godersi la scena. Ad oggi il solo pronunciare il nome di Nick Kamen suscita nelle fanciulle cresciute negli anni Ottanta una sorta di reazione di Homeriana memoria, dove la salivazione si fa più copiosa e alla perdita del controllo delle più elementari facoltà mentali per un variabile periodo di tempo. Esattamente come Homer di fronte ad una bella ciambella o chiunque di noi pene muniti dinnanzi alla bellezza di una o più di quelle meravigliose creature di dio chiamate donne.

    Altro spot felicemente ricordato è del 1990, ambientato negli anni Cinquanta (periodo di massima diffusione del jeans e della sua valenza socio-culturale). Anche all’inizio della nuova decade il prodotto di punta dell’azienda statunitense vuole focalizzare l’attenzione dei clienti sulla resistenza dei suoi pantaloni e sul tratto distintivo che si assume nel portarlo, come afferma il claim a fine spot che recita Levi’s 501, separa gli uomini dai ragazzi. E un nuovo successo pubblicitario per l’azienda viene messo in cassaforte.

    L’azienda continua ad impiegare modelli dai fisici statuari per i suoi spot, dando l’immagine che si può essere belli e dannati indossando i suoi prodotti. Il bello e dannato per antonomasia degli anni Novanta è Brad Pitt, il quale compare in questo spot del 1991. Mentre alcune madri pensano che la pubblicità mostri tutto quello che c’è di sbagliato nell’America del tempo, le figlie apprezzano ampiamente mentre l’ufficio creativo della Levi’s porta a casa l’ennesimo successo.

    L’apice della creatività pubblicitaria del marchio perdura per tutti gli anni Novanta, come è testimoniato da questo spot che è diventato un vero e proprio cult del periodo (accompagnato dal brano Mr. Boombastic di Shaggy, tormentone da classifica e perfetta colonna sonora per accalorati strusciamenti in discoteca). Realizzato con la tecnica della claymation, monopolizzò i principali network televisivi nostrani nel 1995 grazie alla massiva rotazione nei vari canali diventando il perfetto esempio di come uno spot televisivo può resistere alla prova del tempo.

    La saga di Flat Eric è forse quella più famosa e ricordata di questa prolifica e geniale carrellata di spot legati alla Levi’s. Questo pupazzo giallo gira l’America (da ricercato) in compagnia del suo amico umano Angel a bordo di una vecchia auto muovendo la testa a ritmo di Flat Beat di Mr. Oizo in una serie di spot che hanno accompagnato il ruolo del jeans verso la fine del Millennio come uno dei capi più fighi da indossare. Un esempio lampante di come idee geniali possano essere calibrate al servizio del consumismo per generare qualcosa di epico da ricordare a distanza di anni.

    C’è anche da dire che, negli ultimi tempi, il jeans inteso come capo di abbigliamento in grado di entrare nello strato socio- culturale di una generazione (e più in dettaglio di una nazione intera come gli Stati Uniti) non è più predominante come in passato. La colpa è da attribuire a diversi fattori, primi fra tutti il fenomeno che colpisce le nuove generazioni che non trovano nel capo di tessuto denim il suo vestito per eccellenza. La moda di indossare pantaloni strappati all’altezza delle ginocchia (presa malamente in prestito dalla cultura grunge e dalla Generazione X) è esplosa tra gli adolescenti senza che si chiedessero perché, di punto in bianco, facesse figo conciarsi con dei calzoni completamente squarciati. Nonostante tutto il jeans, uno dei capi più versatili realizzati da umana concezione, resta e resterà leggendario come leggendari sono questi spot che a distanza di anni hanno ancora il potere di trasmetterci delle emozioni, riuscendo appieno nel loro scopo originario.

    Hank Cignatta

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    Sono la mente insana alla base di Bad Literature Inc. Giornalista pubblicista, Gonzo nell’animo, speaker radiofonico, peccatore professionista, casinista come pochi. Infesto il web con i miei articoli che sono dei punti di vista ( e in quanto tali condivisibili o meno) e ho una particolare predisposizione a dileggiare la normalità. Se volete saperne di più su di me e su Bad Literature Inc. leggete i miei articoli. Ma poi non dite che non siete stati avvertiti.

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