Lucas, il dolce disastro dell’adolescenza

Lucas, il dolce disastro dell’adolescenza

Interno. Sera. Il mio appartamento. Ritorno da una passeggiata insieme alla mia cagnona Noël mentre fuori imperversa un vento che spazza via Nevrotic Town (o Torino, se siete amanti di anemologia) e rende piacevole rimanere sottovuoto in casa. Mi vesto comodo, mi metto in pantofole e piazzo la mia ingombrante figura sul divano. Noël si accoccola di gran carriera vicino a me, appoggiando il muso su una mia gamba e guardando il televisore in attesa che qualcosa compaia sullo schermo. Mi metto velocemente alla ricerca di un film che possa intrattenerci, imbattendomi in una pellicola intitolata Lucas, datata 1986 e che vede tra i protagonisti un giovanissimo Charlie Sheen. Senza indugio premo play e lascio che quella ventosa domenica lasci placidamente il posto all’inizio dell’ennesima settimana.

Veduta aerea notturna di Torino

Lucas, Il ragazzo con la camicia troppo grande e il cuore troppo pieno

C’è un momento preciso, in Lucas, in cui tutto il cinema americano degli anni Ottanta si ferma a respirare. Corey Haim, attore con il viso di un bambino catapultato in un mondo troppo grande, corre dietro ad un sogno che non gli appartiene, con il cuore che batte più forte di quanto dovrebbe. È piccolo, mingherlino, ha un cervello brillante e un corpo gracilino. Ama una ragazza che sembra troppo bella per essere vera (Kerry Green, che in questo film interpreta Maggie, l’oggetto del suo amore idealizzato) e si lancia in un campo da football come se da quella corsa dipendesse la sua anima.

Kerry Green interpreta Maggie e Corey Haim è Lucas

Non è un film sportivo e n on è nemmeno una semplice commedia per adolescenti d’altri tempi. È una radiografia emotiva di chi cresce senza istruzioni, di chi viene travolto dal caos dell’adolescenza e ci si perde dentro, sorridendo. Lucas è il lato tenero e crudele del sogno americano, il momento in cui capisci che non tutti possono vincere e che forse l’importante è provarci lo stesso.

Lucas e L’America di John Hughes, ma senza zucchero

Nel 1986, l’America cinematografica viveva di feste liceali, colpi di fulmine e finali consolatori. John Hughes aveva appena canonizzato il teen movie con Breakfast Club e Bella in rosa. Ma Lucas, diretto da David Seltzer, decide di scavare più a fondo: nessuna cassetta rock nella radio, nessuna cheerleader che si innamora del nerd per magia. Solo una lenta, dolorosa consapevolezza che crescere significa rinunciare a una parte di sé.

Corey Haim — fragile, autentico, luminoso — è il cuore del film. Il suo Lucas non è il nerd simpatico che alla fine conquista tutti, ma un eroe tragico in miniatura, un Don Chisciotte con la giacca troppo larga e la voce spezzata dall’imbarazzo. Charlie Sheen, in uno dei suoi ruoli più umani, è Cappie, il fratello maggiore che tutti avremmo voluto avere.

Un giovanissimo Charlie Sheen nel ruolo di Cappie

E Kerry Green, reduce dal mito de I Goonies, è la ragazza che diventa il simbolo della distanza incolmabile tra sogno e realtà.

Kerry Green in una foto scattata sul set de I Goonies

Un giovanissimo Charlie Sheen e il debutto di Winona Ryder

In Lucas troviamo anche un Charlie Sheen ancora pulito, quasi ingenuo, lontano anni luce dal futuro bad boy di Hollywood. Nei panni di Cappie, Sheen porta in scena un’inaspettata dolcezza, un carisma silenzioso che illumina ogni scena senza mai rubarla al protagonista. È un’interpretazione misurata, sincera, capace di raccontare il lato empatico dell’adolescenza maschile: un ragazzo popolare che sceglie la gentilezza al posto della crudeltà.

E tra i banchi di scuola fa capolino anche una giovanissima Winona Ryder, qui al suo debutto cinematografico. È quasi un’apparizione, un volto che si intravede e già promette tempesta. La sua timidezza naturale, lo sguardo curioso e malinconico, sono una finestra sul futuro: da lì nasceranno le icone gotiche e tormentate che la renderanno immortale. In Lucas è solo una ragazza tra tante, ma brilla lo stesso. Come se Hollywood, per un istante, avesse capito di trovarsi davanti ad un’anomalia.

Winona Ryder al suo debutto cinematografico

La poesia delle piccole cose

Lucas non urla. Non cerca di farti ridere o piangere con la forza. È un film che parla piano, che sussurra attraverso piccoli gesti come un sorriso, uno sguardo di troppo, un applauso trattenuto. È la poesia della timidezza, della goffaggine, del sentirsi fuori posto. È la confessione collettiva di una generazione che ha imparato a crescere guardando i film di Spielberg ma si è ritrovata, all’improvviso, nel mondo reale.

Ogni inquadratura sembra dire: non serve essere vincenti per essere vivi. E quella corsa finale di Lucas, con il casco da football americano troppo grande e la folla che lo deride, diventa il manifesto universale dei “diversi”. Il suo corpo cede, ma il suo spirito si rifiuta di fermarsi. È l’adolescenza distillata in un’unica immagine: fragile, tragica, bellissima.

Corey Haim: il ragazzo che non ce l’ha fatta

Guardando Lucas oggi, è impossibile non pensare a Corey Haim, al destino di quel ragazzo che Hollywood ha amato e poi distrutto. A 14 anni aveva già tutto: talento, innocenza, vulnerabilità. Poi è arrivato il tritacarne degli anni Ottanta e Novanta, le luci, le feste, gli abusi, la solitudine. Lucas è il suo testamento inconsapevole, il suo primo grido d’amore al mondo. Rivederlo ora è come osservare una fotografia che brucia lentamente, un ricordo troppo vivo per svanire.

Corey Haim in una foto da adulto

Charlie Sheen, ancora lontano dal suo declino, è sorprendentemente sincero in questo film. E Kerry Green, con quella dolcezza sospesa tra infanzia e maturità, sembra rappresentare la purezza perduta di un’epoca che non esiste più.

Lucaes e L’essenza del sogno americano imperfetto

In fondo, Lucas è un film sull’accettazione. Non sul successo, non sulla popolarità, ma sulla sopravvivenza emotiva. È il film di chi è sempre arrivato ultimo ma non ha mai smesso di provarci. L’America che racconta non è quella dei trofei o delle parate scolastiche ma quella delle persone comuni, degli invisibili, dei sognatori con la testa piena di promesse che non si avvereranno mai.

C’è un’umanità struggente in ogni scena, una malinconia che sembra filtrare attraverso la pellicola come una vecchia foto trovata in soffitta. Lucas è una dichiarazione d’amore verso i falliti, i fragili, i diversi e in un certo senso, verso tutti noi.

Conclusione: la bellezza del fallire bene

Riguardare Lucas oggi significa tornare a un tempo in cui la vulnerabilità non era un difetto ma un linguaggio. È un film che ti insegna che si può perdere con dignità, che si può amare senza essere ricambiati, e che la vita, a volte, è solo una lunga corsa con un casco troppo grande in testa. Forse per questo Lucas resta immortale: perché non ha paura di mostrarsi imperfetto, goffo, sincero. Come Corey Haim, come tutti noi, come ogni adolescente che non ha mai smesso di credere di poter cambiare il mondo anche solo con un gesto gentile.

Hank Cignatta

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