Aldous Huxley: il visionario che vide l’inferno della modernità

Aldous Huxley: il visionario che vide l’inferno della modernità

Ci sono uomini che nascono nel posto sbagliato, nel tempo sbagliato e nella pelle giusta per non farsi mai dimenticare. Aldous Huxley è uno di questi. Figlio della borghesia intellettuale inglese, partorito nel 1894 in una campagna educata a tè e repressione, Huxley è cresciuto con la letteratura nel sangue e la disillusione nell’anima. Era un aristocratico dell’intelletto, un tipo da college e visioni apocalittiche, con lo sguardo severo di chi aveva visto troppo anche quando non vedeva più niente. In senso letterale. A diciassette anni perse quasi completamente la vista a causa di una cheratite (infiammazione della cornea). Ma la cecità non gli tolse la luce, anzi: gliela spostò dentro. Gli occhi diventarono specchi rotti in cui riflettersi e lui iniziò a guardare il mondo con una lente allucinata e chirurgica: quella della mente.

Aldous Huxley

“Il mondo nuovo”: l’incubo che stava per diventare realtà

Quando nel 1932 pubblicò Il mondo nuovo Huxley non scrisse un romanzo ma lanciò un avvertimento. Nelle sue pagine il futuro è un laboratorio, l’umanità un esperimento, e la felicità un farmaco prescritto dallo Stato. Gli uomini vengono fabbricati in provetta, addestrati a sorridere ed anestetizzati con il soma, una droga perfettamente calibrata per non sentire mai troppo e per non pensare mai abbastanza.

La copertina dell’edizione italiana de Il Mondo Nuovo, edita da Mondadori

Era un mondo di controllo dolce, di dittature che non avevano bisogno di manganelli ma di piacere programmato. Era, in fondo, la profezia dell’era digitale, del consumo onnipresente, della dopamina su richiesta. Huxley aveva visto prima di tutti Netflix, Instagram, le pubblicità algoritmiche e gli influencer molto prima che nascessero: li aveva chiamati “condizionamento”. E mentre Orwell, con il suo 1984 immaginava un potere che ti spia, Huxley ne prevedeva uno che ti seduce. Non ti sorveglia: ti intrattiene. Non ti punisce: ti premia. Ti dà esattamente quello che vuoi e in quel preciso momento ti annulla.

Aldous Huxley e La mente come territorio sacro

Negli anni Cinquanta, Huxley intraprese il suo viaggio più radicale: quello dentro sé stesso. Si interessò alle droghe psichedeliche non come rifugio, ma come strumento filosofico. Con Le porte della percezione (1954), resoconto del suo esperimento con la mescalina, Huxley entrò nella storia come il padre spirituale del movimento psichedelico. Scrisse: “La mente è la grande esclusa della civiltà moderna”. E mentre l’Occidente si avvitava tra guerra fredda e conformismo, lui cercava l’assoluto nell’espansione della coscienza.

Copertina dell’edizione italiana de Le Porte della Percezione

Non era un hippy ante litteram ma un anatomista dell’anima, un esploratore del cervello come nuovo continente. Dove Timothy Leary gridava “Accendi, sintonizzati e abbandonati”, Huxley osservava con distacco quasi scientifico. Le sostanze psichedeliche per lui non erano una fuga: erano una lente per vedere la struttura nascosta della realtà, per smontare le illusioni del pensiero lineare e della ragione meccanica.

Hollywood, India e l’ossessione per la trascendenza: l’altro Aldous Huxley

Dopo la guerra Huxley abbandonò l’Inghilterra e si rifugiò in California, il laboratorio dei sogni e delle contraddizioni. Tra sceneggiature mancate (scrisse anche per il cinema, tentando di adattare Alice nel Paese delle Meraviglie per la Disney) e esperimenti di meditazione, trovò nella spiritualità orientale la prosecuzione naturale del suo pensiero. Era affascinato dal misticismo indiano, dal buddhismo, dal concetto di “unità dell’essere”. Mentre l’America scopriva il consumo di massa, Huxley cercava di disintossicarsi dall’ego. Era un uomo fuori posto, un predicatore laico in un deserto di spot pubblicitari.

Nei suoi ultimi anni insegnò filosofia comparata a Los Angeles e divenne una sorta di guru discreto per una generazione che stava imparando a sognare con gli occhi aperti e a distruggersi con un sorriso.

La morte di Aldous Huxley nel giorno dell’apocalisse

Il 22 novembre 1963, mentre il mondo si fermava per l’assassinio di John F. Kennedy, Huxley moriva in silenzio nel suo letto di Los Angeles. Chiese alla moglie di somministrargli una dose di LSD. Non per fuggire, ma per attraversare il confine con lucidità. Morì in estasi, secondo alcuni testimoni, con la mente spalancata come una finestra sull’infinito.
Nello stesso giorno moriva anche C.S. Lewis ma i telegiornali non avevano spazio per i filosofi, troppo impegnati a mandare in onda la tragedia del potere. Il destino aveva un’ironia crudele: l’uomo che aveva scritto del mondo nuovo moriva mentre il vecchio mondo implodeva in diretta televisiva.

Articolo che annuncia la morte di Aldous Huxtley, tratto da il New York Times del 1963

Aldous Huxley e L’eredità di un visionario

Aldous Huxley è oggi più attuale che mai. Il suo mondo nuovo non è un futuro immaginato: è una cronaca quotidiana.
Viviamo immersi nella distrazione di massa, nella manipolazione emotiva, nella schiavitù del piacere immediato. I nostri “soma” sono le notifiche, i like, le pillole, i contenuti infiniti. Le sue paure erano avvertimenti, i suoi libri mappe di sopravvivenza per una civiltà ipnotizzata dal comfort. Eppure, in tutto il suo pessimismo lucido, Huxley non smise mai di credere nella possibilità di un risveglio. Non nella rivoluzione, ma nella presa di coscienza. Nel guardarsi dentro fino a scoprire che l’unico antidoto al controllo è la consapevolezza, e che la libertà non è un diritto garantito, ma un esercizio quotidiano.

Conclusione: l’occhio interiore di un secolo

Huxley non fu solo un romanziere, ma un veggente. Vide l’umanità mentre ancora dormiva e cercò di scuoterla con la penna, con la mente, con la chimica. Era un uomo in anticipo di decenni, forse di secoli, e per questo destinato a non essere mai pienamente capito. Oggi, nel frastuono digitale e nella dittatura della leggerezza, le sue parole suonano come un sussurro di verità disturbante: “La libertà è minacciata non solo da chi ci comanda, ma anche da ciò che ci consola.” E nel ricordarlo, non possiamo che ammettere che Huxley aveva ragione. Il mondo nuovo è arrivato. E ci piace pure.

Hank Cignatta

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Sono la mente insana alla base di Bad Literature Inc. Giornalista pubblicista, Gonzo nell’animo, speaker radiofonico, peccatore professionista, casinista come pochi. Infesto il web con i miei articoli che sono dei punti di vista ( e in quanto tali condivisibili o meno) e ho una particolare predisposizione a dileggiare la normalità. Se volete saperne di più su di me e su Bad Literature Inc. leggete i miei articoli. Ma poi non dite che non siete stati avvertiti.

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