Gli N.W.A. e la storia del gangsta rap

Gli N.W.A. e la storia del gangsta rap

C’era odore di benzina e sangue nell’aria della California di fine anni Ottanta. Compton non era uno scenario da cartolina ma una trappola di cemento e sirene della polizia. Nella nebbia dei boulevard spuntavano cinque ragazzi che non volevano fare i bravi: Eazy-E, ex spacciatore con la voce di un elfo armato di mitra; Dr. Dre, il professore della drum machine, mente musicale capace di trasformare il rumore in oro; Ice Cube, un poeta con la rabbia nei denti e le parole come colpi di pistola; MC Ren, il soldato silenzioso che non abbassava mai lo sguardo; e DJ Yella, il testimone sonoro di ogni follia.

Gli N.W.A. al completo. Da sinistra: Ice Cube,Dr. Dre, Eazy-E, Dj Yella e MC Ren

Il nome che scelsero era una dichiarazione di principio: N.W.A., “Niggaz Wit Attitudes”. Un acronimo forte, indigesto, impossibile da ignorare. Non volevano piacere, volevano disturbare. Volevano che già leggendo quelle tre lettere l’America sentisse un brivido lungo la schiena. Era la parola proibita, sputata in faccia alla società, trasformata in bandiera. Gli N.W.A. non nacquero per diventare famosi ma perché la vita li stava già condannando a morire giovani. Invece di lasciare che la polizia scrivesse i loro necrologi decisero di scriverli da soli, su vinile, con microfoni roventi.

Straight Outta Compton: il grido degli N.W.A.

Il 1988 esplose come un colpo di mitra nello stereo di mezzo mondo: Straight Outta Compton non era solo un disco, era un missile balistico puntato al cuore dell’America bianca benpensante.

Non c’erano compromessi, non c’erano filtri: Fuck tha Police non era una canzone, era una violentissima dichiarazione di guerra che proveniva dall’anima più tormentata dell’America.

Mentre MTV si scandalizzava, i ragazzi dei ghetti si riconoscevano in ogni barra, in ogni bestemmia musicale. La polizia li inseguiva ai concerti, l’FBI li minacciava con lettere ufficiali ma gli N.W.A. non abbassarono mai il volume. Era il rap che diventava arma, manifesto, cronaca nuda e cruda di strade che i giornali raccontavano solo nei necrologi.

Yo! MTV Raps: il ghetto invade la TV globale

L’arrivo di Yo! MTV Raps nel 1988 fu come aprire una breccia nella fortezza culturale americana. Per la prima volta il rap, quello vero, quello che arriva dai parcheggi e nei club clandestini, giungeva dritto nelle case dei ragazzini bianchi di provincia.

E quando gli N.W.A. passarono nel programma, il cortocircuito fu totale: cinque ragazzi di Compton con berretti Raiders e sguardi da guerra catapultati nel salotto buono dell’America suburbana.

Era il ghetto che entrava dalla porta principale, senza chiedere permesso. Le loro facce, i loro testi e la loro rabbia improvvisamente non erano più solo cronaca da telegiornale ma spettacolo trasmesso a livello globale. MTV voleva vendere musica, ma quello che mandava in onda era dinamite pura. Gli N.W.A. capirono subito il potere del mezzo: ogni apparizione televisiva diventava benzina sul fuoco della loro leggenda.

Ice Cube e la fuga dall’inferno contrattuale degli N.W.A.

Nel 1989 arrivò la frattura. I soldi erano tanti ma mal distribuiti: Jerry Heller, manager bianco con il sorriso da usuraio, stava ingrassando più dei rapper che rischiavano la pelle ogni giorno. Ice Cube disse basta. Uscì sbattendo la porta e trasformò il suo rancore in un assalto lirico: “No Vaseline”, uno dei dissing più feroci della storia, un’incisione chirurgica che smascherava avidità, tradimenti e la putrefazione interna del gruppo.

Cube divenne leggenda solista, con una carriera che continua ad avere successo anche oggi. Il suo abbandono segnò la prima crepa irreversibile: N.W.A. non erano più fratelli d’armi, erano guerrieri divisi che si colpivano tra loro.

Dr. Dre, Death Row e il suono che cambiò il mondo

Poi fu il turno di Dr. Dre. Quando capì che Eazy-E e Heller lo stavano incatenando con contratti capestro scelse di spaccare tutto. Se ne andò, ma non da solo: con Suge Knight al suo fianco fondò la Death Row Records e da lì partorì “The Chronic”. Quel disco non era solo rap: era architettura sonora, un tempio di bassi profondi e melodie funk, una rivoluzione che riscrisse le regole del gioco.

Gli N.W.A. si erano divisi ma il seme era germogliato: senza di loro non ci sarebbe stato il gangsta rap, non ci sarebbero stati Snoop Dogg, Tupac, né la West Coast come la conosciamo.

Eazy-E, il re caduto

Eazy-E restò a Compton, con l’etichetta discografica della Ruthless Records come suo regno personale. Ma la corona pesava e la malattia arrivò come una condanna definitiva: nel 1995 l’HIV lo portò via a soli trentun’ anni. La sua morte non fu solo una tragedia privata, fu il requiem di un’epoca. Compton pianse il suo piccolo re dalla voce acida. E mentre il mondo discuteva di eredità e fortune il mito degli N.W.A. si trasformava in leggenda.

L’eredità degli N.W.A. dalla strada al grande schermo

Gli N.W.A. furono odiati dai politici, inseguiti dalle forze dell’ordine, censurati dalle radio. Ma furono anche la scintilla che rese possibile l’intero movimento hip hop come lo conosciamo oggi. Nel 2015, il film “Straight Outta Compton” riportò la loro storia al cinema: un biopic che trasformò la loro leggenda in mito pop globale, portando nuova linfa a ragazzi che non erano ancora nati quando il gruppo aveva già incendiato il mondo.

Conclusione: il fuoco che non si spegne

Gli N.W.A. non erano eroi e non fingevano di esserlo. Erano figli bastardi di una società che li voleva già sepolti. Hanno sputato in faccia all’America bianca con le rime, hanno raccontato ciò che alcuni giornalisti non volevano scrivere e hanno trasformato la rabbia in un’arte immortale. Compton non è più la stessa, il mondo non è più lo stesso ma ogni volta che parte il beat di Straight Outta Compton senti ancora l’eco di quell’urlo: sporco, violento ed irripetibile. Un pezzo di storia che non morirà mai, perché il fuoco degli N.W.A. non si spegne e brucia ancora sotto la pelle della cultura globale.

Hank Cignatta

Riproduzione riservata ©


Se l'articolo ti è piaciuto condividilo!

Sono la mente insana alla base di Bad Literature Inc. Giornalista pubblicista, Gonzo nell’animo, speaker radiofonico, peccatore professionista, casinista come pochi. Infesto il web con i miei articoli che sono dei punti di vista ( e in quanto tali condivisibili o meno) e ho una particolare predisposizione a dileggiare la normalità. Se volete saperne di più su di me e su Bad Literature Inc. leggete i miei articoli. Ma poi non dite che non siete stati avvertiti.

Post a Comment

Bad Literature Inc. ©

T. 01118836767

redazione@badliteratureinc.com

redazioneuppercut@yahoo.it

alancomoretto@virgilio.it