St. Ides, l’elisir proibito del rap

St. Ides, l’elisir proibito del rap

Una lattina che diventa mito

C’è un rumore metallico che vibra nelle strade dell’hip hop: lo pshhht di una bottiglia che si apre, la schiuma che sale e cola sul bordo di vetro. Non è un liquore qualsiasi e non è nemmeno il classico brand da supermercato. È St. Ides, il “malt liquor” che negli anni Ottanta e Novanta è diventato molto di più di una semplice bevanda alcolica: un codice culturale, un simbolo sotterraneo e perfino un alleato di rime e beat.

L’iconica bottiglia della St. Ides

Gonzo nel ghetto: bere con le leggende

Immaginate di trovarvi a Compton, in un parcheggio polveroso, con un impianto stereo gracchiante nel bagagliaio. Snoop Dogg fuma, Ice Cube ride sornione e in mano hanno tutti una bottiglia di St. Ides. La verità è che la St. Ides non era solo un drink: era una specie di santo graal alcolico che accompagnava le notti infinite di freestyle e di lotta.

Ice Cube mentre si sgargarozza una bottiglia di St. Ides

Rap e marketing: quando la strada incontra la pubblicità

Qui il Gonzo incontra la storia. Perché St. Ides non era soltanto nei bicchieri: era dentro le casse. L’azienda intuì che il rap stava esplodendo e scelse di cavalcarlo in un modo mai visto prima. Negli spot comparivano Ice Cube, Snoop Dogg, 2Pac, Wu-Tang Clan e perfino Notorious B.I.G.

La pubblicità diventava un’estensione del rap stesso: beat originali, rime scritte apposta per celebrare quella bottiglia da 40 once.

Era la prima volta che un brand alcolico si fondeva così direttamente con il linguaggio dell’hip hop, trasformando lo spot in una sorta di mini-traccia esclusiva.

La doppia anima di St. Ides

Il bello di questa storia è che St. Ides viveva su due binari paralleli. Da una parte, era l’orgoglio della strada: costava poco, spaccava tanto e rendeva ogni cypher (il cerchio nel quale ci si ritrova per ballare la break dance) più caldo. Dall’altra, era glamour: lo potevi vedere nei video, negli spot e sulle labbra dei rapper che stavano costruendo la leggenda dell’hip hop. In un mondo in cui le marche bianche non avevano voce, St. Ides gridava nelle casse come un MC di quartiere, trovando un posto in prima fila nel lessico del rap.

Cultura liquida: St. Ides oltre la bottiglia

Bere St. Ides non era solo bere. Era dire: “Io faccio parte di questa cultura”. La bevanda diventava simbolo di appartenenza, di ribellione estetica, di stile. Per un attimo sembrava che non ci fosse barriera tra chi saliva sul palco e chi stava sotto, tra superstar e pubblico: tutti potevano stringere in mano quella stessa bottiglia e sentirsi parte della storia.

Un’eredità che non svanisce

Oggi St. Ides non domina più le classifiche di vendita e gli scaffali come un tempo ma la sua leggenda rimane incisa nelle strofe dei grandi. Quando riascoltiamo certi brani, quando vediamo certi vecchi spot diventati cult su YouTube, capiamo che St. Ides non è stata solo una bevanda, ma un tassello fondamentale del mosaico hip hop. È l’aroma di un’epoca, il gusto ruvido di una cultura che non aveva paura di sporcarsi le mani.

Hank Cignatta

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