Barry Seal: la sua storia tra spionaggio e narcotraffico

Barry Seal: la sua storia tra spionaggio e narcotraffico

Atterraggio in pieno trip

Il sudore cola sulle tempie mentre l’aereo sobbalza sopra le nuvole. Barry Seal alza il bicchiere di bourbon e ride come un maiale felice di finire al macello. È il 1983 ma potrebbe essere ieri o domani. Perché certe storie non invecchiano: continuano a puzzare di cherosene, sangue e bugie.

Seal non è un eroe. È un uomo stropicciato, con la camicia sempre fuori posto e lo sguardo di chi ha visto troppi hangar di provincia. Ma quando accende il motore, diventa un dio minore: l’uomo che collega Medellín a Washington, la cocaina ai Contras, Pablo Escobar a Ronald Reagan. L’America che dichiara guerra alla droga da un lato e dall’altro ci fa l’amore sporco, in un amplesso che puzza di sudore e ipocrisia.

La CIA come pappone, Escobar come cliente

Parlano di “guerra alla droga” ma è un cazzo di spettacolo di burlesque. Dietro le quinte c’è la CIA che traffica come uno spacciatore da marciapiede, solo con più cravatte e budget miliardari. Armi dentro, cocaina fuori. I Contras che ringraziano, la Casa Bianca che finge di non sapere.

Barry Seal

E in mezzo c’è Barry, il tassista dei cieli. Un pilota con il fegato già a metà andato che trasporta tonnellate di polvere bianca come fossero cartoni di latte. Una volta lo fotografano persino con Escobar mentre caricano l’aereo.

Barry Seal (a destra con la t shirt bianca) ritratto insieme a Pablo Escobar (al centro della foto)

È la pistola fumante. Ma a Washington non interessa. A Washington interessano solo i rubinetti: flussi di denaro nero per guerre sporche in Nicaragua. Barry era l’idraulico perfetto per un sistema che perdeva drammaticamente pezzi.

Mena, Arkansas: Disneyland del traffico di droga

Andateci oggi a Mena, Arkansas. Sembra la solita cittadina dimenticata, una fermata obbligata per caffè annacquati e mangiapannocchie senza denti. Ma negli anni Ottanta era il cuore pulsante del teatro dell’assurdo. Hangar pieni di coca, aerei carichi di armi, silenzi istituzionali più spessi della nebbia mattutina.

Uno scorcio di Mena, Arkansas

Bill Clinton era governatore. Non chiedetemi quanto sapesse. Forse nulla, forse tutto. Ma quell’aeroporto era la prova vivente che l’America non combatteva la droga: la trafficava come un pusher all’angolo, solo con più eleganza burocratica.

Bill Clinton quando era governatore

Il triplo gioco din Barry Seal e la roulette russa

Barry pensava di essere immortale. Informava la DEA, serviva i cartelli, si faceva proteggere dalla CIA. Triplo agente, triplo suicidio annunciato. Una roulette russa in cui ogni tamburo era carico. Ma lui rideva, beveva, ingrassava. Viveva come se fosse impossibile morire. Poi arrivò un parcheggio di Baton Rouge, 1986. Un mucchio di proiettili nel petto, sangue sull’asfalto e addio cowboy.

Nessuna epica: solo un cadavere accasciato in macchina, la fine inevitabile di chi gioca con troppi padroni.

Il cadavere di Barry Seal rinvenuto dopo il suo omicidio

Hollywood, la fabbrica di sogni

Decenni dopo arriva Tom Cruise. American Made. Un film pulito, veloce, fighetto. Barry Seal trasformato in un eroe pop con il sorriso perfetto e gli occhiali da aviatore. Una favola lisergica dove il sangue evapora e resta solo il divertimento. Ma la verità non era Cruise. La verità era un uomo stropicciato, con la faccia scavata dall’alcol e la puzza di paura addosso, che trascinava valigie di cocaina su piste di provincia mentre rideva come un pazzo. Hollywood ha fatto quello che fa sempre: ha preso il fango e l’ha trasformato in zucchero filato. E noi, spettatori, ci siamo leccati le dita.

Barry Seal come specchio incrinato

Alla fine Barry non è un uomo: è una metafora lisergica. L’America che predica morale e traffica immondizia. L’America che costruisce guerre con i soldi della droga e poi arresta i ragazzini con una canna in tasca. L’America che si droga di se stessa e poi cerca un capro espiatorio. Seal era quel capro, goffo e sfrontato. Ma anche eroe involontario. Perché nel suo caos, nel suo trip da suicida, ha rivelato la verità: che la “war on drugs” non era mai stata una guerra. Era solo un business. E come ogni business americano, aveva bisogno di un volto. Quello volto segnato, sorridente e maledettamente inaffidabile di Barry Seal.

Hank Cignatta

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