Everybody have fun tonight: viaggio nella storia dei Wang Chung

Everybody have fun tonight: viaggio nella storia dei Wang Chung

La mia fedele Great Point Blue Shark sfreccia per le arroventate e ancora quasi deserte strade di Nevrotic Town (o Torino, se siete amanti dell’uncinetto e del punto croce). Accanto a me sul sedile del passeggero a con la cintura di sicurezza per cani la mia inseparabile Noël, che si gode l’aria e il mondo dal finestrino. Dalle casse della mia autoradio si propagano le note di Dance Hall Days dei Wang Chung. Ed è così che in un’assolata mattinata di fine agosto Nevrotic Town si trasforma improvvisamente in Vice City.

Un nome che è un trip

Pronuncialo ad alta voce: Wang Chung. Suona come una presa in giro, come un piatto uscito dal menù di un ristorante cinese buttato in una discoteca londinese del 1983. E invece no: è il nome di una delle band più strane, surreali e sottovalutate degli anni Ottanta. Un duo britannico che ha trasformato la new wave in una giostra allucinogena infilando synth taglienti e riff di chitarra scolpiti nel neon dei locali del periodo e un’ironia mai abbastanza capita.

I Wang Chung. Da sinistra: il bassista Nick Feldman e il cantante Jack Hues

L’Inghilterra grigia, il synth colorato

Jack Hues e Nick Feldman non erano eroi, non erano sex symbol: erano due ragazzi che volevano graffiare il grigio tardo-industriale della Gran Bretagna con la loro colonna sonora futurista. La scena musicale era già ingolfata: i Duran Duran cavalcavano yacht a Monte Carlo, i Depeche Mode erano gli architetti oscuri del pop elettronico mentre i Simple Minds sognavano rivoluzioni. E i Wang Chung? Si inventavano un mondo dove tutto era una danza, un eterno dance hall of the mind.

“Dance Hall Days”: l’inno della stravaganza dei Wang Chung

Arrivò il 1984 e con esso Dance Hall Days. Non era una canzone, era un’epifania. Una specie di trip LSD in salsa pop che ti faceva vedere le luci al neon anche se restavi chiuso in camera ad ascoltarla dallo stereo con le tapparelle abbassate. Tre minuti di coreografia dove la gravità e il buon gusto sono andati in ferie. Ma è proprio questa la sua bellezza. La canzone spaccò le classifiche americane e trasformò il nome Wang Chung in un marchio globale. Ancora oggi, se entri in un diner sperduto del Midwest, c’è una buona probabilità che di sentire gracchiare questa hit da un jukebox stanco che guarda i telefoni intelligenti con un misto di disgusto ed indivia.

Il paradosso Wang Chung: mainstream e outsider, come direbbero quelli bravi

Quello che rende i Wang Chung diversi è la loro schizofrenia artistica. Hanno firmato la colonna sonora di To Live and Die in L.A. di William Friedkin, un noir diventato ben presto un film cult che ha trasformato Los Angeles in un incubo metropolitano. E lì i Wang Chung non fecero i buffoni da dancefloor: tirarono fuori atmosfere cupe, elettroniche, claustrofobiche, anticipando persino certo suono industrial.

Poi, senza battere ciglio, passarono a hit allegre e apparentemente spensierate come Everybody Have Fun Tonight. La doppia faccia di una stessa droga: ti fa ballare e ti distrugge allo stesso tempo.

Tutti devono Wangchungeggiare

“Everybody Wang Chung Tonight”. Un testo che non ha senso, ma che ha fatto scuola. Era il 1986 e il mondo impazzì per quell’invito surreale a “Wangchungeggiare”. Non è importante cosa significhi: è importante farlo. Era un manifesto di libertà creativa, un vaffanculo ai testi impegnati, una celebrazione della musica come puro istinto. Oggi sarebbe un hashtag virale su TikTok ma loro lo fecero con i mezzi di un decennio che pensava ancora in VHS e vinile e che aveva la leggerezza come motore trainante.

Wang Chung, Gonzo tra i sintetizzatori

I Wang Chung non furono mai davvero compresi. Erano troppo ironici per essere presi sul serio e troppo seri per essere liquidati come fenomeno da classifica. E quando dimostrarono la loro versatilità artistica con la colonna sonora di Vivere e morire a L.A. non furono capiti. Gonzi involontari, suonavano come se stessero documentando con le loro tastiere un trip interiore fatto di neon, sudore e paranoia metropolitana. La loro carriera è la cronaca sonora di un decennio dove tutto sembrava possibile e tutto poteva collassare la notte dopo.

Perché oggi i Wang Chung contano ancora

Se ascolti i Wang Chung oggi, ti accorgi che non erano una semplice band da classifica. Erano un’avanguardia travestita da pop, un virus creativo che ha contagiato generazioni di musicisti senza mai ricevere i giusti crediti. Dai revival synthwave fino ai meme digitali, la loro eredità vive ancora. Sono i fantasmi psichedelici che ballano sopra ogni playlist anni Ottanta che ti butti in cuffia. Non poteva che succedere: una band che sembrava nata per il neon e l’eccesso degli anni Ottanta è finita dritta dentro Grand Theft Auto: Vice City.

Tra linee di coca digitali e giacche a doppio petto pixelate, i Wang Chung si guadagnarono il loro altare immortale nella radio virtuale Wave 103, la stazione che profumava di sintetizzatori e decadenza. Anni dopo, come se il tempo fosse un loop al neon, Rockstar li ha riesumati di nuovo: Everybody Have Fun Tonight esplode nel secondo trailer ufficiale di GTA VI, ribadendo che il caos, la festa e l’assurdo non hanno età. È come se i Wang Chung avessero sempre saputo che la loro musica non era per gli anni Ottanta ma per un futuro criminale, ipercolorato e digitale.

Conclusione: balla finché il neon si spegne

I Wang Chung magari non hanno cambiato il mondo, ma hanno cambiato la percezione di cosa significhi divertirsi in musica. Hanno reso l’assurdo normale, hanno reso il ballare un atto esistenziale. E allora sì: Everybody Wang Chung tonight. Non importa che tu non sappia cosa significhi. L’importante è che ti lasci travolgere.

Hank Cignatta

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