
Maccio nella nebbia: benvenuti nella Sconfort Zone
L’incubo dell’uomo moderno ha una nuova forma. Ed è firmata Maccio Capatonda
Lo scorso fine settimana a Nevrotic Town (o Torino, se siete amanti dell’umorismo) le temperature erano decisamente più alte del normale. Alle 2:47 del mattino, con la mia Noël nel suo piccolo angolo di paradiso nel quale riesce a trovare del fresco, ho acceso la TV. Avevo bisogno di qualcosa di fresco, di un faro nel buio della serialità piatta. Invece ho trovato Sconfort Zone, la nuova serie di Maccio Capatonda. E non sono più uscito. Letteralmente. Non so più dov’è l’uscita. Ho perso il telecomando, gettato via da qualche parte completamente preso dal flusso narrativo della serie.

Sconfort Zone: serie TV o esperimento sociologico?
La trama è un pretesto, un filo rosso annodato alla corda con cui ci impicchiamo tutti i giorni. Maccio interpreta se stesso, o una versione ancora più disfunzionale del sé che già conoscevamo: un uomo “normale” alle prese con l’ansia, i traumi e i tentativi di uscire dalla comfort zone. Solo che invece di uscirne, la tappezza con poster motivazionali e ci si fa un selfie dentro.

Ogni episodio è un’orgia di flashback, reality interiore e camei assurdi. La scrittura è psicotica nel senso clinico del termine, ma con una coerenza interna disarmante. Sembra improvvisata ma invece è cesellata con precisione chirurgica. È come guardare un documentario sul naufragio dell’autostima girato da David Lynch ma con una risata in sottofondo che potresti scoprire essere la tua.
Sconfort Zone, Maccio come profeta dell’autosabotaggio
Maccio Capatonda è sempre stato un comico-filosofo travestito da ingenuo ma qui si supera: Sconfort Zone è la sua opera più personale, un’autopsia dell’anima fatta con il bisturi arrugginito dell’ironia. Quella vera, che non serve a sollevare lo spirito ma bensì a scavare fino a quando non trovi il punto in cui ridi per non piangere e poi piangi per aver riso troppo. Il messaggio della serie è chiaro: siamo tutti prigionieri delle nostre comfort zone, ma il problema non è uscirne. Fuori c’è solo un’altra gabbia, più Instagrammabile ma altrettanto vuota.

Regia schizofrenica, montaggio epilettico, genialità organica
La regia alterna riprese statiche a trip visivi, usando i cliché delle serie motivazionali per disintegrarli dall’interno. Ogni episodio ha almeno un momento in cui ti chiedi: “Ma sto ancora guardando una serie o sono finito in un reel sponsorizzato da un guru del fallimento?” Tutto è costruito per destabilizzare, per toglierti il tappeto emotivo da sotto i piedi mentre ridi con la bocca e gridi con l’inconscio.

Il futuro della commedia è disturbante (ed è un bene)
n un panorama televisivo dove la maggior parte delle serie suonano come playlist Lo-Fi per studenti depressi, Sconfort Zone è uno schiaffo alla prevedibilità. È un manuale di sopravvivenza emotiva scritto da un uomo che ha perso la mappa, bruciato la bussola e deciso comunque di proseguire, magari anche in costume adamitico e vulnerabile. Maccio ci ricorda che il vero comfort non si trova nell’uscire dalla zona ma nel guardarla in faccia e riderle addosso mentre lei ti prende a calci nello stomaco.
Hank Cignatta
Riproduzione riservata®
Post a Comment
Devi essere connesso per inviare un commento.