Letteratura, bevute, scopate e cazzotti: Californication e la disarmante sincerità dei sentimenti umani
Ed eccomi davanti all’ennesima pagina bianca di digitale fattura, pronta per essere imbrattata da lettere, parole e sentimenti. Mi ritrovo quindi a festeggiare il ritorno dell’equinozio di primavera sorseggiando un buon bicchiere di rum, secondo mio fedele amico in questa solitaria serata fatta di confessioni provenienti dalle pieghe più profonde dell’animo stropicciato e a tratti sfatto del povero stronzo Gonzo che vi sta scrivendo. Nel mio vagare sul Tubo del web che tutto mostra e tutto ricorda mi sono imbattuto nuovamente in uno spezzone di una puntata di Californication, una delle serie tv che più mi sono state d’aiuto per affrontare nel migliori dei modi un periodo di crisi personale, nonché una delle mie costanti conferme all’interno dello sconfinato universo delle serie tv che offrono telefilm per ogni aspetto della vita umana.
Californication narra le vicende letterarie ed umane di Hank Moody, scrittore di successo in piena crisi creativa ed esistenziale rilegato a seguire l’adattamento cinematografico di God Hates Us All, suo romanzo di stampo nichilista. Lo spettatore viene letteralmente proiettato all’interno della dissoluta vita di Moody, il quale veleggia tra il perenne dilemma di vivere una sincera storia d’amore con Karen (suo eterno amore e nonché madre della loro figlia Rebecca) e le numerose partner occasionali che non riescono a resistere al suo magnetico fascino di eterno stronzo edonista con una certa inclinazione ai valori d’altri tempi. Si ha la sensazione di guardare qualcosa di diverso fin dai primi istanti del primo episodio di Californication: l’incontro tra Moody e una suora intenta a rendere turgidi i sogni di questo personaggio (spudoratamente ispirato a Bukowski) che gli propone di risolvere tutti i suoi problemi con una blasfema fellatio nella casa del signore vale da solo la pena di continuare di proseguire in un viaggio di immersione totale all’interno dei tortuosi casini di questa peccaminosa rockstar della letteratura.
Senza dimenticare il personaggio di Charlie Runkle (magistralmente interpretato da Evan Hadler), agente di Moody nonché suo eterno migliore amico, antitesi perfetta al magnetico fascino autodistruttivo della figura di Hank. David Duchovny non si è dovuto sforzare più di tanto per togliersi di dosso il personaggio di Fox Mulder di X Files con il quale, prima di Californication, veniva perennemente associato. L’attore americano da libero sfogo ad un personaggio che ha (probabilmente) da sempre albergato nell’animo dell’attore, immedesimandosi a tal punto nella parte da sviluppare una dipendenza da sesso e ritenere necessario il ricovero in una clinica specializzata. Nel cast anche un’altra completa trasformazione: vi ricordate di Grace Sheffield, la piccola figlia di casa nella serie La Tata? Madeleine Zima è decisamente cresciuta. In tutti i sensi.
Per carità, Californication oltre ad essere il titolo di una canzone contenuta nell’omonimo e sublime album dei Red Hot Chili Peppers è pur sempre un telefilm. Ma rimane uno trai i più sinceri di tutti, capace di far comprendere attraverso una figura che qualsiasi essere penemunito vorrebbe essere almeno una volta nella propria esistenza quanto siano incasinati e fragili i rapporti umani. Il merito è di Tom Kapinos, talentuoso sceneggiatore televisivo ideatore di questa serie tv, capace con i suoi personaggi e i suoi dialoghi di toccare le corde più sincere della vita di tutti i giorni (cosa abilmente replicata anche nel suo altro capolavoro, Lucifer) Dalla difficoltà di esprimere sinceramente il proprio amore nei confronti della persona che ama veramente ( ben sette stagioni, di cui l’ultima davvero lontana dalle dinamiche al vetriolo delle precedenti) alle difficoltà di essere un buon padre presente per quella figlia che nient’altro chiede se non di essere amata, passando per quella pazzesca e condivisibile idiosincrasia covata nei confronti del prossimo che lo porta leggermente ad essere una sorta di Re Mida capace di trasformare (quasi) tutto quello che tocca e che scopa in merda.
E mentre la maggior parte di quei miei coetanei che fanno parte della mia cerchia di amicizie convolano a nozze e coronano il loro sogno di farsi una famiglia, condividendo sui social le foto che celebrano l’arrivo in questo mondo di lupi dei loro eredi, ci sono io che continuo ad occuparmi delle virtù della bottiglia di rum che fedelmente mi tiene compagnia, intento a domandarmi se domani vorrò continuare ad anestetizzare la mia incasinata esistenza con l’acquavite ricavato dalla distillazione della melassa della canna da zucchero oppure darmi ad un pur sempre onesto whiskey. E non potrei essere più contento di vivere quello che (pare) essere un banale ma pur sempre sincero dilemma. Faccio quindi un brindisi al bel tempo, alle giornate che si allungano, ai piccoli piaceri della vita e a quei tramonti perfetti da festeggiare con infuocati rapporti celebrativi. Al resto, ci pensa Californication.
Hank Cignatta
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