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    Taxi Driver, viaggio nell’abisso nella solitudine

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    Eccola qui, la mia amica insonnia. Subdola, disponibile e accogliente. Si insinua silenziosamente tra le mie sinapsi, puntando delle sveglie che rendono impossibile ogni parvenza di riposo. Mentre la mia Noël dorme il sonno dei giusti nel mondo dei sogni canino, punto il mio telecomando calibro 45 contro lo schermo della televisione e faccio fuoco. Mentre si alternano immagini di guerra, personaggi improbabili e programmi che sono lontani anni luce dal reale concetto di intrattenimento, mi imbatto nei titoli di testa di un film a me molto familiare: Taxi Driver di Martin Scorsese. Un caso? Va a capire. Sta di fatto che manco farlo apposta la situazione è perfetta. Mentre i nomi degli attori si palesano tra la nebbia di quella giungla urbana quale è New York, mi metto comodo.

    Taxi Driver è una delle opere più importanti della cosiddetta New Hollywood. Perché c’era un periodo in cui Hollywood, prima di diventare la capitale mondiale degli scandali sessuali, era considerata la Mecca del cinema. Un luogo dall’alone mistico in cui avvenivano delle magie che venivano impresse su pellicola, destinate ad essere tramandate di generazione in generazione come una delle eredità più importanti che si possano ricevere. E proprio tra la fine degli anni Sessanta fino alla fine degli anni Settanta l’industria del cinema è riuscita ad entrare nell’immaginario collettivo comune attraverso alcune pellicole capaci di diventare delle punte di diamante della cinematografia mondiale.

    Alcuni dei film capostipiti della New Hollywood. Da sinistra: Taxi Driver, Il Padrino, Apocalypse Now e Il Laureato. Menzione speciale per Easy Rider, non presente nell’immagine.

    Prima che Quentin Tarantino arrivasse a ridefinire il concetto di violenza e che quest’ultima diventasse un concetto più fruibile nella maggior parte dei film e delle serie tv Martin Scorsese con i suoi film è riuscito a scavare nelle pieghe più profonde e remote dell’animo umano. Per farlo si è avvalso dell’unico registro filmico in grado di dare la giusta potenza visiva al suo messaggio.  Una violenza grafica che diventa parte integrante della narrazione, un tratto distintivo che assume un connotato liberatorio per la redenzione dei personaggi.

    Il grande Martin Scorsese

    In Taxi Driver lo spettatore viene coinvolto fin da subito nelle vicende di Travis Bickle (interpretato da un magistrale Robert DeNiro in uno dei suoi ruoli più famosi), ventiseienne ex Marine reduce del Vietnam congedato nel 1973 che vive a New York. Per Travis però il ritorno alla vita di tutti i giorni non è semplice. Affetto da una costante insonnia, decide di lavorare come tassista durante il turno di notte. Il suo taxi giallo percorre le strade della New York notturna, quando la Grande Mela è popolata di prostitute, spacciatori, tossicodipendenti e ladri. Durante la sua esperienza come tassista notturno, Travis inizia a nutrire un sentimento di disgusto nei confronti di quella città che di notte cambia volto. Quando non è in servizio passa il suo tempo libero a guardare film pornografici in cinema a luci rosse. 

    L’ex Marine è un ragazzo alienato, lontano dalle convenzioni sociali e dalle sue tendenze. Il suo unico modo di intrecciare dei rapporti interpersonali è il tempo passato con alcuni colleghi che incontra in un bar durante la pausa del turno. Tutto sembra cambiare quando s’invaghisce di Betsy, impiegata dell’ufficio elettorale del senatore di New York Charles Palantine, candidato alle elezioni presidenziali. Dopo alcuni tentativi di approccio, Travis riesce ad avere un appuntamento con Betsy. Le cose non andranno per il meglio, in quanto egli non riuscirà ad uscire dalla sua routine, portando la ragazza al cinema a luci rosse dove è solito passare il suo tempo libero.

    Mentre questo episodio rovina il rapporto tra Travis e Betsy, l’ex Marine continua a nutrire un sentimento di odio e disgusto sempre più acuto nei confronti della bancarotta morale della Grande Mela. La situazione sembra cambiare quando una notte Iris (interpretata da una giovane Jodie Foster alla sua seconda collaborazione con Scorsese dopo quella di Alice non abita più qui del 1974), una prostituta di tredici anni, cerca di salire sul taxi di Travis tentando di sfuggire dal suo sfruttatore, il quale la raggiunge e la tira giù dall’auto. Qui viene descritto il baratro psicotico nel quale scivola il protagonista, arrivando a nutrire l’intenzione di liberare Iris dal suo sfruttatore. Quest’ultima non manifesta a Travis nessuna intenzione di voler essere salvata, finché quest’ultimo non decide di passare ai fatti. Una sera si reca dove lavora Iris, spara al suo sfruttatore all’addome e sale nella stanza dove la ragazza si prostituisce. Travis, ormai tornato ad essere una macchina da guerra, non si ferma di fronte a nessuno, uccidendo chiunque si presenti sul suo cammino (compreso l’affittacamere dell’edificio dove lavora Iris). Mentre il protagonista viene raggiunto da un colpo di pistola al collo da Mattew, lo sfruttatore di Iris precedentemente ferito all’addome, egli continua nella sua carneficina finendo lui, un mafioso presente nell’edificio e l’affittacamere con un colpo alla testa. Mentre Iris è in lacrime di fronte a quella scena, Travis cerca di suicidarsi senza successo, avendo terminato tutte le munizioni delle pistole che aveva portato con sé. Iconica è la scena a termine della sparatoria, dove Travis ormai ferito ed insanguinato, si porta un indice alla testa mimando lo sparo di una pistola. 

    Sulla scena del crimine sopraggiungono le forze dell’ordine, mentre Travis è ormai diventato un eroe metropolitano, ricevendo parole di ringraziamento da parte dei genitori di Iris per aver salvato la loro figlia dalla schiavitù della prostituzione. Il film è una delle più importanti critiche alla società dell’epoca, colpevole di non essere stata in grado di aver dato una giusta sistemazione ad una generazione di ragazzi che hanno dato la loro vita per salvare il proprio Paese. E quei pochi che sono riusciti a tornare indietro sono stati abbandonati come il più complicato dei problemi. Ben presto i reduci del Vietnam hanno dovuto affrontare con non poche difficoltà il ritorno ad una vita normale. Molti di loro non sono più stati in grado di adattarsi, completamente abbandonati da quella stessa politica che aveva detto loro che credere in quel mistico senso di libertà avrebbe cambiato per sempre le loro vite. Dimenticandosi però di dire loro in che modo.

    Hank Cignatta

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    Sono la mente insana alla base di Bad Literature Inc. Giornalista pubblicista, Gonzo nell’animo, speaker radiofonico, peccatore professionista, casinista come pochi. Infesto il web con i miei articoli che sono dei punti di vista ( e in quanto tali condivisibili o meno) e ho una particolare predisposizione a dileggiare la normalità. Se volete saperne di più su di me e su Bad Literature Inc. leggete i miei articoli. Ma poi non dite che non siete stati avvertiti.

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