Robert Johnson, la leggenda del blues tra verita’ e mito
Immaginate di vivere una giornata di merda sotto tutti i fecali punti di vista: la sveglia non ha suonato in tempo facendovi arrivare tardi a lavoro. La macchina ha deciso di morire proprio nel momento in cui ne avete più bisogno e dovete prendere l’autobus, che arriva tardi ed è affollato mentre piove. Prendete tutte queste sfighe e mettetele in musica, cantandole su una base musicale caratterizzata da una struttura in dodici battute. Ecco che potrete assistere a quel miracolo chiamato Blues. Come avrete potuto intuire è molto più di un semplice genere musicale: il Blues è uno stile di vita, un richiamo disperato che racchiude tutte le fatiche dell’Uomo in grado di trovare la giusta chiave di volta per metterle in musica e creare qualcosa di unico e magico.
Diversi artisti sono riusciti a dare la propria iconica impronta stilistica al genere, ma uno solo è riuscito a varcare il labile confine tra realtà e leggenda. Il suo nome è Robert Johnson e la sua figura è alquanto controversa. E’ considerato uno tra i più grandi ed influenti chitarristi del ventesimo secolo, rivoluzionario tanto quanto lo fu Hendrix nel rock. Il suo stile chitarristico era diverso rispetto a quello utilizzato dagli artisti dello stesso genere del periodo e consisteva nella tecnica del fingerpicking, ovvero toccare le corde con le dita senza l’ausilio del plettro. Il suo timbro vocale, particolarmente acuto, riusciva a dare una grande connotazione emotiva durante l’esecuzione dei suoi pezzi, discostandosi ulteriormente dallo stile canonico adottato dagli altri bluesmen.
Ascoltare un suo brano è una vera e propria esperienza sensoriale, capace di trasmettere tutta l’angoscia e il tormento che l’artista voleva far arrivare agli astanti. Il tutto va inserito in un contesto di varie leggende (da prendere con le pinze, ovviamente) che hanno contribuito a costruirgli attorno una figura da vero e proprio artista maledetto. Come anche lo stesso Johnson affermava in vita, pare che avesse fatto un patto con il Diavolo barattando la sua anima in cambio della capacità di suonare la chitarra come nessun’altro. Anche la sua morte avvenuta in circostanze misteriose a soli ventisette anni ha permesso di inserire il suo nome nel cosiddetto Club 27, il gruppo di grandi artisti di diverse decadi deceduti a ventisette anni.
Chiamatela la musica del Diavolo, fatevi il segno della croce o celebrate il rito di liberazione se incontrate qualcuno che ascolta Robert Johnson, se la vostra mente è di vedute ristrette. Chiamateci pure adoratori del male: noi vi irrideremo mentre vi lamenterete di come la musica non è più quella di una volta. E per alcuni di voi questa sarà la condanna per l’eternità.
Hank Cignatta
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