I Ginger Root e quelle sonorita’ che creano dipendenza musicale
Mi ritrovo sveglio ed accaldato in una nottata di metà luglio, intento a cercare di distrarmi dalla mia insonnia che trova nel caldo asfissiante il suo migliore alleato. Mentre la mia cagnona Noël è riuscita a trovare un punto fresco che le permette di dormire il sonno dei giusti, accendo la mia televisione intelligente ed avvio Youtube. Tra i vari video consigliati, l’algoritmo che tutto può e tutto sa mi consiglia di vedere il video musicale di un gruppo chiamato Ginger Root. Nel dettaglio il brano in questione si chiama Loretta: un brano molto orecchiabile fin dalle sue prime note, accompagnato da un video molto colorato realizzato con la tecnica del video analogico (l’effetto videocassetta, tanto per intenderci). Un ragazzo asiatico ben vestito è intento a cantare mentre dei suoi cloni si alternano a suonare i vari strumenti musicali che si possono sentire nel brano. Il video finisce e metto play su una nuova canzone. Il filone nostalgico/ analogico sia dal punto di vista video che della realizzazione dei brani continua e man mano mi rendo conto di essere davanti al mio prossimo progetto musicale preferito.
I Ginger Root (che tradotto alla buona significa radice di zenzero) hanno origine per volontà di Cameron Lew, montatore video e grafico nonché cantautore e strumentista di Huntington Beach, in California. Nel 2016 Lew militava nella band Van Stock e a metà dello stesso anno si è ritrovato a comporre dei brani che non si adattavano allo stile marcatamente indie rock del gruppo con il quale suonava. Spinto dal desiderio di sperimentare quelle nuove sonorità in un modo diverso, Lew ha raccolto tutte quelle canzoni che sono diventate materiale da includere in un LP che sarebbe diventato poi Spotlight People. Nel 2017 pubblica su Youtube una serie di brani musicali suonati, mixati e montati al momento all’interno della sua auto, una Honda Element. Qui ha modo di portare ad un livello successivo la sperimentazione di quello che sarà il tratto distintivo dello stile musicale dei Ginger Root. Il nome per il suo nuovo progetto musicale è giunto per caso, mentre stava ascoltando un esibizione dal vivo dei Vulfpeck (altro gruppo di cui tratteremo prossimamente) e, sentendo il cantante pronunciare la frase “uh uh ginger root” ha pensato bene che potesse andare bene come nome per definire quello che aveva artisticamente in mente. Mentre Cameron Lew si è l’anima dei Ginger Root per le registrazioni in studio, durante le esibizioni dal vivo si fa accompagnare dai suoi amici del liceo Matt Carney alla batteria e Dylan Hovis al basso.
Lo stile dei Ginger Root è difficile da inquadrare o da etichettare per coloro che amano mettere tutta la musica all’interno di immaginari divisori da negozi di dischi. La voce di Lew non è potente ma è l’elemento perfetto per i brani della band. Suonano un pop che strizza palesemente l’occhio al cosiddetto city pop giapponese (sottogenere di musica pop giapponese in voga tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta. Proprio in questa decade ottiene l’apice del successo grazie al successo del karaoke e dei locali ad esso dedicati), un pop allegro che non si prende sul serio ma che riesce ad incastrarsi nel rullo delle sinapsi e a riproporti per buona parte della giornata il brano che hai avuto modo di ascoltare. Se vogliamo sono anche una versione moderna e molto buona della cosiddetta muzak (o musica da ascensore) e permette un tipo di esperienza di ascolto molto positiva. La loro musica va di pari passo con lo stile dei loro video, legati al mondo analogico della Tokyo degli anni Ottanta, che dà loro ancor di più quell’alone di inesauribile progetto capace di dire la propria in mille modi diversi. Il grande successo che stanno riscuotendo negli Stati Uniti e nel resto del mondo (l’Italia non è neanche presa in considerazione in questa statistica, state tranquilli) li rende una delle band delle quali sentiremo presto parlare molto bene in campo internazionale. E, come sempre, ascoltare per credere.
Hank Cignatta
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