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    La morte di Raffaella Carrà, ovvero la fine del mito e l’inizio della leggenda

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    Mi trovo in una stanza di una nota radio di Nevrotic Town nell’afa snervante di un pomeriggio di inizio luglio (o Torino, per i più romantici) mentre apprendo la notizia della scomparsa di Raffaella Carrà, Nostra Signora della televisione italiana. Un misto di sgomento e di muta impotenza si impossessa di tutti i presenti: gli speaker in onda in diretta, con un nodo in gola, danno la triste notizia che in pochi minuti ha fatto il giro delle agenzie di stampa ribalzando rapidamente in tutto il mondo. Tutto ciò che si fa da li in avanti è amplificato come in una bolla e diventerà, almeno fino a quelli della mia generazione, un momento storico che, probabilmente, verrà celebrato spesso con la domanda “dove ti trovavi quando è morta Raffaella Carrà?

    Un’immagine con un collage di articoli di giornali spagnoli che celebrano il talento di Raffaella Carrà, molto amata anche all’estero

    Raffaella Carrà era e rimarrà sempre l’elegante signora della televisione italiana, di cui è stata sempre assoluta protagonista in ogni suo nuovo progetto. Era la regina di un modo elegante e pulito di fare tv, caratterizzato dalla fine eleganza di bussare con educazione nelle case degli italiani e dell’importanza che tale ruolo ha.

    Interprete nazional popolare dell’allegria dell’essere in ogni sua forma, le sue canzoni sono diventate la colonna sonora di un modo di divere in un Paese che si scandalizzava troppo e che censurava molto in fretta, come con il famosissimo Tuca Tuca , oggetto di tante critiche e censure che nel 1971 portò i dirigenti della Rai ad obbligare i ballerini ad eseguirne il ballo (ideato da Don Lurio) quasi girati di tre quarti. Il tutto per timore che Enzo Paolo Turchi, ballerino con il quale la Carrà si esibiva nel ballo, anziché i fianchi, toccasse i seni e le parti intime della showgirl portando così ad uno sciame sismisco di crisi di epilessia nei censori della televisione pubblica di Stato.

    Ma non fidatevi delle parole qualsiasi del povero bastardo che vi scrive: cercate e guardate i video di quella maniera di fare televisione, dove il talento era vero e declinato in ogni suo ambito. Recitazione, canto, ballo, presenza scenica e quell’umiltà di sapersi rapportare con il pubblico che diventava un momento unico da portare nel cuore. Un talento unico e dirompente che ha portato la televisione americana ad interessarsi a lei e al successo che ha riscontrato in Italia e non solo, venendo invitata come ospite nel 1986 al David Letterman Show. Con la morte di Raffaella Carrà si chiude un’era in cui si sono fatte molte conquiste e nella quale la televisione era sinonimo di qualità. Uno spaventoso abisso comparato con il qualunquismo cosmico che, oggigiorno, viene spacciato per intrattenimento.

    Hank Cignatta

    © Riproduzione riservata

    Sono la mente insana alla base di Bad Literature Inc. Giornalista pubblicista, Gonzo nell’animo, speaker radiofonico, peccatore professionista, casinista come pochi. Infesto il web con i miei articoli che sono dei punti di vista ( e in quanto tali condivisibili o meno) e ho una particolare predisposizione a dileggiare la normalità. Se volete saperne di più su di me e su Bad Literature Inc. leggete i miei articoli. Ma poi non dite che non siete stati avvertiti.

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