I vinili di un Gonzo: Them Changes di Buddy Miles, un grande tesoro sepolto nella storia del Funk Rock
Caldo. Che caldo. Porca puttana, che caldo. Nevrotic Town (o Torino, per chi si perde in una descrizione diversa dal normale) sembra essere stata inghiottita nelle roventi ma interessanti profondità dell’Inferno. Tutte le finestre sono spalancate ma neanche la minima presenza di un alito di vento, che quando si palesa è più caldo del fuoco. Troppo caldo per guardare un film in tv, troppo caldo per iniziare a buttarsi a letto nell’ardua impresa di poter dormire il sonno dei giusti. Mi rivolgo alla sacra divinità della musica, in cerca di quella santissima evasione capace di dare la svolta giusta ad una rovente serata di inizio luglio. Il mio ingombrante dito indice inizia a muoversi sibillino tra i vinili della mia collezione personale, sfogliando album di divinità del rock e della storia della musica in senso più ampio. La mia attenzione viene catturata dalla copertina di Them Changes, album del 1970 del batterista, cantante e compositore statunitense Buddy Miles. Prendo del buon whiskey, mi accendo un sigaro e la puntina del mio giradischi mi porta in quella dimensione unica dalla quale nessuno vorrebbe mai ritornare.
George Allen “Buddy” Miles inizia presto ad essere affascinato dal mondo della musica, iniziando a percuotere le pelli a nove anni. Talento a parte, che in questi casi non deve mai mancare, non poteva essere diversamente: Buddy è figlio d’arte, in quanto suo padre suonava il contrabbasso per artisti del calibro di Duke Ellington, Count Basie, Charlie Parker, Dexter Gordon e molti altri. A dodici anni il giovanissimo Buddy si esibisce con il gruppo paterno, i The Bebops. Quel soprannome, così in linea con il suo talento e con il genere di musica che ha imparato ad ascoltare quando era ancora nel grembo materno, glielo affibbia sua zia in onore del batterista jazz Buddy Rich. E mai augurio fu più azzeccato. Buddy viene notato dal chitarrista Mike Bloomfield, con il quale fonderà nel 1967 la blues- soul rock band The American Flag. Una volta abbandonato il gruppo da parte di Bloomfield, Miles diventa il leader del gruppo che guida fino al 1968 registrando l’album The Electric Flag: An American Blues Band. L’anno successivo forma i Buddy Miles Express, con i quali incide i due dischi Expressway to Your Skull e Electric Church, entrambi prodotti da Jimi Hendrix. Ha inizio un sodalizio con il chitarrista di Seattle che durerà fino alla formazione della Band Of Gypsyes che si scioglierà nel 1970. Nello stesso anno Miles realizza il suo disco solista di maggior successo, Them Changes per l’appunto. Dal 1971 al 1972 intraprende un tour insieme a Carlos Santana che culminerà con la pubblicazione di Carlos Santana & Buddy Miles! Live!, registrato in un vulcano inattivo delle Hawaii.
Them Changes è un disco figlio dei suoi tempi, in grado di presentare sonorità che spaziano dal funk rock strizzando fortemente l’occhio al soul e al rock psichedelico in voga in quel periodo. L’album si apre con il brano omonimo che dà il titolo all’opera, nel quale spiccano l’assolo di chitarra di chiaro stampo Hendrixiano, la magica linea di basso suonata da William “Billy” Cox (già bassista di Hendrix) e una spiccata influenza di sonorità alla James Brown. Di rara bellezza è (o ballad, se siete irrimediabilmente esterofili) I Still Love You Anyway, una rarissima gemma che fa godere l’udito in grado di arrivare dritta alle corde più profonde dell’anima. Ascoltare per credere.
La spensierata Hearts Delight torna a donare un senso di colore all’album, dove Miles e tutti i grandi musicisti che si alternano nella registrazione hanno modo di mettere a disposizione dell’ascoltatore tutto il loro talento. In definitiva, Them Changes è una spensierata zingarata musicale, capace di resistere alla prova del tempo avendo contro però una concezione assai diversa dalla musica, che travalica il concetto di gusto personale. La stessa puntina che era stata in grado di portarmi in quell’onirica dimensione musicale si alza dal disco e mi riporta bruscamente alla realtà. Finisco il mio whiskey brinando a Buddy Miles, morto nel 2008 a sessant’anni a causa di una malformazione cardiaca congenita, spengo il giradischi e mi avvio verso l’incognita di un giorno che deve ancora nascere, consapevole ancor di più del fatto che la musica è la sola risposta che conta in ogni frangente di questa strana maratona comunemente detta vita.
Hank Cignatta
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