Living The Book Of My Life di Philip Michael Thomas
Introduzione: il mio giradischi, una sera piovosa e un disco che non voleva essere trovato
Non ricordo come Living The Book Of My Life sia finito nel mio scaffale. Forse un mercatino. Forse un lapsus. Forse un colpo di follia. Sono certo che non fosse presente nella collezione di dischi di mio zio Louis, amante del rock nella sua interezza.

Quello che so è che quando la puntina ha toccato il primo solco Philip Michael Thomas, l’uomo che credeva di essere destinato alla santità televisiva, ha iniziato a parlarmi direttamente negli emisferi cerebrali. Benvenuti in un nuovo articolo della serie Vinili di un Gonzo, dove i dischi non li ascolti: ti possiedono.
Philip Michael Thomas: l’uomo che voleva essere tutto
Thomas non era un attore: era un’aspirazione antropomorfa. Un manifesto vivente dell’autostima illimitata. È lui che ha inventato il termine EGOT, proclamando urbi et orbi che avrebbe vinto Emmy, Grammy, Oscar e Tony. Non li ha mai vinti. Ma un uomo così non si ferma davanti alla realtà. E Living The Book Of My Life è il suo atto più audace: l’album in cui decide di diventare profeta oltre che star.

Un disco tra soul, ego e misticismo sintetico
Il vinile si apre ed emerge subito un panorama sonoro che sa di Miami, luci al neon e sogni troppo grossi per una sola vita. Produzione anni Ottanta pura: sintetizzatori satinati, basso gommoso, cori da chiesa pentecostale in versione pop e un messaggio continuo, ossessivo, quasi evangelico: Vivi il libro della tua vita. È una dichiarazione esistenziale su LP.

Il significato nascosto del disco: la missione interiore di un EGOT mancato
Living The Book Of My Life è un disco che predica. Sembra costruito come un manuale motivazionale con melodia incorporata. È come se Thomas avesse voluto lasciare al mondo un testo sacro in vinile, un breviario soul-pop new age che ti spiega come diventare te stesso. O almeno fartici provare.

Traccia dopo traccia: dentro la mente febbrile di Philip Michael Thomas (analisi Gonzo selettiva e spietatamente sincera)
Livin’ the Book of My Life: Il Vangelo secondo Rico Tubbs
La traccia che da il titolo all’album è l’autobiografia mitologica di un uomo che si vedeva già scolpito nel Monte Rushmore dello showbiz. Una base R&B avvolta da synth lucidi e un ritornello che sembra un mantra ripetuto da uno che la sera prima ha detto allo specchio: Io sono destinato a grandi cose. È il tipo di canzone che ti fa capire immediatamente che questo album non nasce per intrattenere: nasce per dimostrare.
Just the Way I Planned It: La legge dell’universo, versione 1985
Qui Thomas diventa predicatore cosmico. La canzone ha quell’energia motivazionale da palestra spirituale: tutto accade esattamente come deve accadere. È uptempo, quasi radiofonica, con un ritornello che avrebbe potuto diventare una hit se solo il mondo fosse stato pronto a prendere Philip Michael Thomas sul serio come cantante.
You Might Be the Lucky One: L’illusione scintillante
Un brano costruito su un groove morbido, con Thomas che veste i panni del seduttore consapevole: sei tu a essere fortunato ad ascoltarlo, non il contrario. Ha un fascino rétro irresistibile, come un profumo troppo intenso messo su una camicia di lino aperta fino allo sterno.
Fish and Chips: Il momento assurdo che ogni album dimenticato deve custodire
Un titolo che non ha alcun senso nel contesto del disco. Una canzone che ne fa ancora meno. Funk-pop caotico, giocoso, quasi dadaista: sembra un pezzo scritto tra una pausa di Miami Vice e un viaggio psicotropo a Key West. Se esistesse una definizione sonora di ma cosa cazzo sto ascoltando?, sarebbe sicuramente questa traccia. Che si lascia comunque ascoltare.
Everything Happens in Its Own Time: La filosofia di un ottimista terminale
Una ballata motivazionale che ti prende alla gola con una sincerità quasi infantile. Qui l’ambizione onnipotente del disco si scioglie in una rassegnazione dolce: Thomas sembra sussurrarti che davvero, alla fine, tutto accade quando deve accadere.
“Stay (In My Loving Arms Tonight): La ballata sudata delle due di notte
Un brano scanzonato in pieno stile anni Ottanta satinata da struscio (quasi) garantito. La voce di Thomas, pur non essendo tecnicamente formidabile rende tutto più autentico. Un brano da ballo ravvicinato, bicchiere pieno e pensieri confusi. Attenzione: ascoltarlo in coppia potrebbe causa un’incremento delle nascite.
La Mirada: L’epilogo cinematografico
La chiusura perfetta: tropicale, quasi da colonna sonora che accompagna degnamente un ipotetico episodio di Miami Vice. Thomas canta come se stesse interpretando il ruolo di sé stesso in un film che nessuno ha ancora scritto. E in un certo senso, lo fa davvero.
Il vinile come esperienza sensoriale (e spirituale)
Ascoltare questo disco oggi è come far cadere una capsula temporale sulla puntina: un’esplosione di ego, neon, ambizione e soul zuccherino. È un viaggio psichedelico, anche senza droghe. Un pellegrinaggio nel cuore dell’io cosmico di Philip Michael Thomas.

Conclusione: Il valore Gonzo di un disco che non ha paura di esistere
Living The Book Of My Life non è un capolavoro. È un’opera necessaria. È il testamento di un uomo che non ha mai smesso di credere di essere destinato a tutto. E mentre la puntina risale verso il centro, capisci che i vinili dimenticati non lo sono mai davvero: aspettano solo qualcuno abbastanza folle da rimetterli in moto. Come noi. Come questa rubrica. Come questo disco.
Hank Cignatta
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