Verdena: la provincia che urla in delay
C’è chi dice che il rock in Italia sia morto con gli anni Ottanta e poi ci sono i Verdena, che negli anni Novanta sono arrivati a prenderlo a schiaffi nel volto, svegliandolo dal coma con un ruggito distorto che odorava di benzina, fumo e sogni suburbani. Nel loro mondo non c’è mai stato spazio per l’ovvio: niente compromessi, niente lustrini, niente finte ribellioni da palcoscenico. Solo sudore, alienazione e l’urgenza di fare rumore per non scomparire nel nulla.

I Verdena e Le origini: il garage, la nebbia e la benzina
Fine anni Novanta. L’Italia si crogiola nel post-grunge e nella sbornia britpop. In radio passano i Subsonica, gli Afterhours e i primi vagiti elettronici del nuovo millennio. Ma nei sotterranei della Val Seriana, i Verdena costruiscono qualcos’altro: un muro di suono denso e viscerale. Quel suono sembra che abbia masticato i Nirvana, i Melvins e gli Smashing Pumpkins per poi essere sputato fuori con un accento bergamasco e la voglia di graffiare tutto.

Nati ad Albino, in provincia di Bergamo, posto che non evoca certo il glamour della scena rock, Alberto Ferrari (voce e chitarra), Luca Ferrari (batteria) e Roberta Sammarelli (basso) hanno costruito dal niente una delle carriere più credibili e iconiche della musica italiana contemporanea.
Gli anni della furia: la nascita dei Verdena
Era il 1995 quando i fratelli Ferrari, due ragazzi con la rabbia in corpo e una sala prove nei sotterranei, decidono di formare una band. Il suono era ruvido, istintivo, quasi primitivo: un pugno nello stomaco contro l’apatia e il provincialismo di quegli anni. L’arrivo di Roberta Sammarelli al basso dà la scossa finale: i Verdena trovano il loro equilibrio nella dissonanza. Nel 1999 pubblicano l’album d’esordio Verdena e l’Italia scopre qualcosa che non aveva mai sentito prima.
Brani come Valvonauta e Viba diventano inni generazionali: urlati, distorti, impenetrabili e allo stesso tempo sinceri fino al midollo. Non era solo musica: era una dichiarazione di guerra.
Tra grunge e psichedelia: la maturità sonora
I Verdena non sono mai stati fermi. Ogni disco è un esperimento, una fuga in avanti. Con Solo un grande sasso (2001) spaccano tutto: un viaggio acido, viscerale, che unisce la violenza del grunge alla sensibilità lirica di chi ha imparato a convivere con le proprie ferite. Poi arriva Il suicidio dei samurai (2004), forse il disco più oscuro e carnale della loro carriera.

Quando nel 2007 pubblicano Requiem, la band è ormai un culto. L’Italia musicale si divide: chi li odia li chiama “i Nirvana di provincia”, chi li ama li considera gli unici sopravvissuti autentici del rock alternativo. Entrambe le definizioni, in fondo, sono vere.
Wow, Endkadenz e l’evoluzione psicotica di una band fuori dal tempo
Nel 2011 arriva Wow, un doppio album che è un viaggio allucinato tra rock, psichedelia e ballate alienate.
È un lavoro monumentale, denso, stratificato. Dentro ci trovi tutto: Pink Floyd, Smashing Pumpkins, Beatles deformati e un’anima italiana che sanguina di periferia e genio.
Poi tocca a Endkadenz Vol. 1 e Vol. 2 (2015): due dischi che suonano come un diario di bordo di un equipaggio disperso nello spazio del rock. In un mondo di algoritmi e plastica, i Verdena restano materia organica, suono vivo.
Volevo magia: il ritorno dopo sette anni di silenzio
Dopo un silenzio lungo come un deserto radioattivo, nel 2022 i Verdena tornano con Volevo magia. Un titolo che è una confessione e una maledizione. Il disco è una centrifuga di nostalgia, rabbia e malinconia: il suono di chi ha visto il mondo cambiare e ha scelto di non cambiare con lui. Le canzoni scorrono come un sogno lucido: Chaise Longue e Paul e Linda sono piccoli capolavori, in bilico tra l’intimità e il delirio. La band dimostra ancora una volta che il rock, se è fatto con verità, non invecchia mai.
Roberta Sammarelli lascia i Verdena: fine di un’epoca
Nel 2025 arriva una notizia che scuote il cuore dei fan: Roberta Sammarelli lascia i Verdena. Non è un addio rumoroso, ma un messaggio silenzioso e denso di significato, in pieno stile Verdena. Roberta — colonna portante del gruppo fin dai primi giorni — ha incarnato l’anima più misteriosa e magnetica della band. Il suo basso, profondo e tagliente, era la spina dorsale del suono Verdena. La sua uscita segna la fine di un equilibrio perfetto durato trent’anni. Ma chi conosce i Verdena sa che ogni fine, in realtà, è solo un’altra trasfigurazione: la musica continuerà, magari in nuove forme, forse più spoglie o più feroci, ma sempre autentiche. L’eredità di Roberta resta incisa in ogni vibrazione, in ogni nota sospesa tra dolcezza e caos.

I Verdena come fenomeno culturale
I Verdena non sono solo una band. Sono un linguaggio, un codice segreto. Un modo di intendere la musica come atto di resistenza, come urlo privato contro la mediocrità. Il loro isolamento, la scarsa esposizione mediatica, le interviste centellinate e le risposte schive sono parte del mito. Mentre altri cercavano la ribalta televisiva, loro scavavano in profondità. Hanno costruito un impero sotterraneo fatto di dischi veri, di concerti devastanti e di fan che li seguono come una setta pagana.
Conclusione: il rumore necessario dei Verdena
In un’Italia che troppo spesso si accontenta, i Verdena sono la prova che la bellezza può nascere anche dal caos.
Hanno tenuto viva la fiamma del rock in un paese che l’aveva dimenticata, trasformando il disagio in arte e l’isolamento in libertà. E anche adesso, con la fine di un’era segnata dall’uscita di Roberta Sammarelli, il mito non si spegne.
Perché il rock, quello vero, non muore mai: si rigenera nel rumore, nella sincerità e nel coraggio di non piacere a nessuno.
Hank Cignatta
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