Whisky giapponese: viaggio in un’arte marziale distillata

Whisky giapponese: viaggio in un’arte marziale distillata

Un sorso che non perdona

Mi ritrovo in un bar di Shinjuku, nel ventre umido di Tokyo, con il neon che rimbalza sulle bottiglie come se fossero reliquie di una religione segreta. Ordino un whisky giapponese (senza “e”) perché in Giappone hanno deciso che lo scotch scozzese andasse copiato, violentato e poi fatto rinascere con la precisione di un chirurgo dalla filosofia zen.

Il primo sorso non è un drink: è un pugno filosofico nello stomaco. Dolcezza, fumo, legno e un eco che sa di pioggia sulle montagne di Hokkaido.

Vista delle montagne innevate di Hokkaido

Le origini: lo scozzese che divenne samurai

Tutto ha inizio con Masataka Taketsuru, un giovane giapponese che nei primi anni del Novecento si innamora dello Scotch whisky al punto da mollare tutto e partire per la Scozia. Frequenta la University of Glasgow, lavora in distillerie, si sposa con una donna scozzese e rientra in patria con un bagaglio pieno di ricette segrete e ambizioni folli.

Masataka Taketsuru

Da lì nasce la rivoluzione: prima con Suntory, poi con la sua creatura personale, Nikka. La storia del whisky giapponese è un atto di appropriazione culturale trasformato in arte.

Il culto della precisione

A differenza della Scozia, dove il whisky ha un retrogusto di torba e anarchia, in Giappone tutto è rituale. Non esiste l’idea di abbastanza buono: ogni goccia è il risultato di un’ossessione quasi maniacale per l’equilibrio. È zen in bottiglia. I giapponesi hanno preso l’idea scozzese e l’hanno filtrata attraverso la loro mania per la perfezione: acqua purissima delle montagne, legni locali come il Mizunara che regalano note speziate e misteriose e fermentazioni calibrate al millimetro.

Alcune bottiglie di whisky giapponese

Il Mizunara: la quercia che sussurra

Parlare di whisky giapponese senza menzionare la quercia Mizunara è come scrivere di Hunter S. Thompson senza parlare di acido lisergico. È una quercia bastarda, difficile da lavorare, piena di nodi e instabile come una promessa d’amore in una notte di pioggia. Ma quello che restituisce è magia: aromi di incenso, sandalo, cocco e spezie che rendono ogni bottiglia un’esperienza mistica. I collezionisti la venerano come reliquia.

Una pianta di quercia Mizunara

Le grandi case: Suntory e Nikka

Il Giappone del whisky è dominato da due giganti.

  • Suntory: la potenza di Yamazaki, Hakushu e Hibiki. Il loro Hibiki 21 anni è diventato il Santo Graal, un blend che profuma di poesia e costa come un motorino usato.
  • Nikka: più ruvido, più diretto, con Yoichi e Miyagikyo a incarnare due anime diverse dello stesso demone. Yoichi ha il fumo della torba, Miyagikyo l’eleganza vellutata.

Poi ci sono i ribelli: Chichibu, Mars, White Oak. Distillerie più piccole, che producono bottiglie quasi introvabili, per collezionisti con il portafoglio e i nervi pronti.

Suntory e Nikka, i due giganti del whisky nipponico

Il whisky in Giappone: highball e rituali

E mentre l’Occidente si immagina i giapponesi a sorseggiare single malt da meditazione o solamente litri di sakè bollente, la realtà è più spietata: il whisky in Giappone si beve soprattutto in highball. Bicchiere alto, ghiaccio, soda e una fetta di limone. È il drink dei salarymen sudati che si riversano nei bar dopo il lavoro, bevendo fino a dimenticare che domani li aspetta un’altra giornata in ufficio. Ma attenzione: anche il più semplice degli highball giapponesi viene trattato come fosse un rito shintoista. Il ghiaccio è tagliato perfettamente, la soda è calibrata, il whisky scelto con cura.

Le bottiglie più desiderate

Se vuoi collezionare, preparati a vendere un rene. Le bottiglie più apprezzate in patria e fuori sono:

  • Yamazaki 18: velluto liquido, note di cioccolato e frutta secca.
  • Hibiki 21: blend che danza tra dolcezza e legno sacro.
  • Nikka Yoichi: per chi ama il fumo, la torba e la rabbia addomesticata.
  • Chichibu The Peated: raro, selvaggio, un sorso che sembra esplodere in bocca.

Ogni bottiglia è un frammento di Giappone liquefatto, un pezzo di estetica trasformato in alcol.

La filosofia del bicchiere

Bere whisky giapponese non è ubriacarsi: è un viaggio. È il tentativo disperato di controllare il caos del mondo attraverso un liquido trasparente. È meditazione in un bicchiere, disciplina trasformata in aroma. Non è un caso che abbia conquistato l’Occidente, scalando classifiche e vincendo premi fino a mettere in crisi gli scozzesi stessi.

Conclusione: il fantasma nel bicchiere

Me ne vado dal bar con le gambe molli e lo stomaco in fiamme. Il whisky giapponese non è un semplice distillato: è una dichiarazione di guerra fatta con garbo, un’arte marziale in forma liquida. È il Giappone che prende in mano un simbolo occidentale e lo trasforma in qualcosa di completamente diverso, un incantesimo alcolico che non perdona. Bevi un sorso e ti ritrovi in una nebbia di incenso, luci al neon e ricordi che non sapevi di avere. È questo il potere del whisky giapponese: non ti ubriaca soltanto ma ti racconta una storia.

Hank Cignatta

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