Corey Haim, il ragazzo perduto di Hollywood
Ci sono nomi che galleggiano per sempre nel limbo della memoria pop, sospesi tra la nostalgia e la tragedia. Corey Haim è uno di quelli con un viso da ragazzino buono, occhi spalancati ed intrappolato in una stanza piena di specchi, la giovinezza fatta carne e consumata troppo presto. Ricordo la prima volta che lo vidi: Lucas, notte fonda che galoppa fuori dalla porta di casa e un bicchiere di rum. Era il ragazzino nerd coraggioso, il simbolo dell’adolescenza anni Ottanta che credeva ancora nel bene, nei fumetti e nelle ragazze con la permanente. Ma dietro quella faccia da copertina di Teen Beat c’era già un abisso che urlava in silenzio. Corey Haim non era un attore. Era un esperimento di Hollywood andato terribilmente storto. E questo è il suo ricordo Gonzo o forse una confessione collettiva.

Corey Haim Il Ragazzo d’Oro: l’ascesa di un idolo anni Ottanta
Nato a Toronto nel 1971, Corey Ian Haim era un bambino come tanti. Ma poi arrivò la telecamera. A dieci anni già girava spot pubblicitari, a dodici era sul grande schermo, e a quindici il mondo gli esplose addosso: Lucas (1986). Un film dolce e triste dove interpretava un ragazzino fragile, appassionato di scienza e innamorato della ragazza sbagliata. C’era qualcosa di vero in lui, qualcosa che non si poteva recitare. La vulnerabilità naturale, la timidezza mascherata da entusiasmo.
Dopo Lucas, arrivò The Lost Boys (1987). Vampiri, sangue finto e capelli laccati, ma soprattutto quella chimica con Corey Feldman, “l’altro Corey”. I due diventarono un marchio, una coppia da poster. Haim e Feldman erano i Beatles dei ragazzini degli anni Ottanta ma senza un Lennon. E Hollywood, come un predatore gentile, li accolse a braccia aperte. Per poi divorarli lentamente.
Hollywood Babylon: sesso, droga e giacche di pelle
Gli anni Ottanta erano un circo ambulante di eccessi: cocaina, MTV, limousine e camerini pieni di promesse. Corey Haim aveva tutto: soldi, fama, attenzioni. Ma nessuna bussola. Dietro i riflettori, Hollywood era un motel di anime usate. E lui, giovanissimo, si trovò a camminare nudo tra squali e corridoi pieni di agenti pronti a vendere la sua innocenza come un souvenir.

Le prime pillole arrivarono come amiche, poi come padrone. Nel 1990, a meno di vent’anni, Haim era già intrappolato nella dipendenza da Valium, cocaina e ogni altra benedizione chimica disponibile sul mercato nero degli Studios. Il ragazzo dei sogni divenne l’incubo di ogni produttore. Non riusciva più a recitare, a concentrarsi, a respirare.

Ma la parte più marcia della storia non è solo la droga. È la verità taciuta. Corey Haim fu una vittima, un ragazzo abusato e manipolato da un sistema che aveva imparato a trarre profitto dal dolore. Il mondo dello spettacolo, lo stesso che lo aveva creato, si voltò dall’altra parte. Come sempre.
Il duo dei Coreys: fratellanza e caduta libera
Negli anni Ottanta The Two Coreys erano ovunque: talk show, film, riviste. Erano la rappresentazione perfetta dell’amicizia maschile postmoderna: due adolescenti bruciati dal successo ma ancora convinti di poter volare. Haim era il più fragile, Feldman il più furbo. Insieme girarono film come License to Drive e Dream a Little Dream, tentativi disperati di rimanere a galla mentre il mercato degli idoli adolescenti iniziava a crollare.

Negli anni Novanta il sogno si trasformò in una farsa. Haim fece bancarotta, finì in cliniche di riabilitazione e provò a tornare in TV. Nel 2007 i due tentarono di rinascere con il reality The Two Coreys ma fu come guardare due sopravvissuti camminare tra le rovine del proprio passato. Le lacrime, le accuse, i traumi riaffiorati in diretta: uno spettacolo di dolore travestito da intrattenimento. Un requiem in slow motion.
Un’anima troppo pura per sopravvivere a Hollywood
Corey Haim morì il 10 marzo 2010, a 38 anni. Il referto ufficiale parlò di polmonite ma la verità è che il suo corpo non riuscì più a reggere la somma di vent’anni di abusi, fallimenti e cuori spezzati. Morì povero e dimenticato in un piccolo appartamento a Burbank. Nessuna villa, nessun tappeto rosso, solo una madre distrutta e una generazione di fan che non smise mai di chiedersi: come abbiamo potuto lasciarlo andare così?

Hollywood lo aveva consumato come una gomma da masticare al mentolo. Lo aveva succhiato fino all’ultima goccia di dolcezza per poi gettarlo via. Era troppo gentile per quel mondo, troppo vero per quella giostra di maschere.
Corey Haim e la sindrome dell’eterno ragazzo
C’è qualcosa di universale nella tragedia di Corey Haim. È la paura di crescere, di perdere la purezza, di diventare un adulto cinico in un mondo che non perdona. Ogni generazione ha il suo Corey Haim: la sua meteora, il suo simbolo dell’innocenza bruciata. Negli anni Ottanta era lui, con i jeans strappati e il sorriso disarmante. Oggi lo stesso destino tocca ad altri (influencer, giovani star, icone usa e getta) intrappolati nella stessa macchina mangia-anime. Hollywood non cambia mai. Cambia solo la colonna sonora.

Epilogo: ricordare Corey Haim per non dimenticare noi stessi
Rivedere Lucas oggi è come guardare un fantasma che ci parla. Quel ragazzo, con la voce tremante e la fede cieca nell’amore, rappresenta tutto ciò che il mondo ha perso: la sincerità. Corey Haim non voleva diventare un mito maledetto.
Voleva solo recitare, vivere, amare. Ma Hollywood non perdona chi non indossa la corazza. Il suo nome vive ancora tra i titoli dei film in VHS, nei forum dei fan, nelle notti nostalgiche di chi è cresciuto con la luce al neon degli anni Ottanta negli occhi. E forse, in fondo, è giusto così: perché ogni tanto serve ricordare che la giovinezza è una malattia da cui nessuno guarisce davvero.
Hank Cignatta
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