Addio ad Andrea De Adamich, gladiatore dei motori
Una morte che lascia un rombo nel silenzio
È un giorno che pesa come un motore spento dopo trecento chilometri all’ora: Andrea de Adamich, pilota, narratore, voce e volto della Formula 1 italiana, ci ha lasciato all’età di 84 anni. Non è soltanto la scomparsa di un uomo: è lo spegnersi di un’eco che ha accompagnato domeniche, rettilinei, telecronache, il rombo dei propulsori e il fruscio delle gomme sull’asfalto. Un’icona del motorsport e della televisione che, oggi, lascia ai viventi la sua ombra lunga.

De Adamich: Origini triestine, corsa infinita
Nato a Trieste il 3 ottobre 1941, de Adamich varcò presto la soglia del rischio: dalla velocità in montagna alla Formula Junior, fino all’approdo nella grande scena dell’automobilismo. Il destino lo portò al volante della leggendaria Alfa Romeo Giulia GTA, con la quale conquistò due Campionati Europei Turismo (1966-67). Quel bolide aveva più personalità dell’autista che la guidava, eppure era proprio lui con casco, tuta e guanti a domarla, a farla cantare come un violino sulla pista.

La F1: dove il destino si mescola al metallo
Il passaggio alla massima categoria arrivò nel 1968 con la Scuderia Ferrari, ma non era solo un cambio di tuta: era un salto nel baratro dell’estremo, dove anche il minimo errore si paga col rumore di vetri e lamiera. Tra Ferrari, McLaren, March, Surtees e Brabham, la carriera in F1 di de Adamich si dispiegò tra curve, incidenti, sfide e una sete inestinguibile di velocità. E poi, quel grave incidente a Silverstone nel 1973, che segnò la sua uscita dalle corse agonistiche: il rumore degli pneumatici che grippano, la tempesta nella testa, la consapevolezza che nulla sarebbe stato più come prima.
Dalle piste al piccolo schermo: la nuova sfida di Andrea De Adamich
Ma Andrea non accettò il silenzio. Trasformò il rombo in voce, l’adrenalina in racconto, il volante in microfono. Per più di tre decenni divenne uno dei volti chiave della televisione italiana dei motori, in particolare su Mediaset. Ai telespettatori offriva non solo i tempi sul giro ma il battito cardiaco della gara, l’odore della mescola usata, l’ansia in pit-lane. Era un trasmettitore di passione pura. Quando raccontava le corse, sembrava che il circuito scorresse nel salotto di casa: l’ombra del monoscocca, le scariche di alettone e tu lì, seduto, con gli occhi fissi sullo schermo e il cuore al limite dell’over-rev.
“Grand Prix”: la voce che portò la Formula 1 nelle case degli italiani
Negli anni Ottanta e Novanta, il nome di Andrea de Adamich divenne indissolubilmente legato al programma “Grand Prix”, il contenitore motoristico che trasformò il modo di raccontare la velocità in televisione.
Lui non era solo un conduttore, ma un ponte tra i box e il pubblico, tra il mondo dei tecnici e quello degli appassionati comuni. Con il suo stile diretto, elegante e sempre competente, riuscì a rendere comprensibili le dinamiche complesse della F1, anticipando il linguaggio televisivo moderno dei motori. Grand Prix era un rito domenicale, un tempio per chi amava carburatori e sorpassi: le sue telecronache e le interviste a caldo restano ancora oggi un punto di riferimento per chiunque si occupi di motorsport in TV. De Adamich aveva una dote rara: quella di saper dosare emozione e tecnica, calore e precisione, riuscendo così a far convivere nel piccolo schermo l’odore dell’asfalto con la freddezza dei cronometri.
La voce di De Adamich nel videogioco F1 97 per ps1: quando il rombo arrivò nei salotti
Per chi è cresciuto negli anni Novanta, Andrea de Adamich non fu solo il volto di Grand Prix, ma anche la voce digitale del videogioco “F1 97” per PlayStation 1, un titolo leggendario che ha marchiato la memoria di un’intera generazione.

Era lui, con il suo tono inconfondibile e l’enfasi da autodromo, a gridare “attenzione!” mentre la tua Williams o la tua Ferrari sbandavano all’uscita di una curva a Montecarlo. In un’epoca in cui i videogiochi non cercavano il realismo esasperato ma l’adrenalina pura, la sua voce dava un’anima alle gare virtuali, trasformando un salotto in pit-lane, una notte insonne in un Gran Premio di Suzuka.
De Adamich era così: sapeva farti vivere la corsa anche senza odore di benzina, e quando lo sentivi commentare una tua manovra, avevi la sensazione che il mondo dei veri piloti e quello dei joystick non fossero poi così distanti. Per molti di noi, quel timbro resta sinonimo di infanzia, velocità e sogni a 16 bit.
L’impegno nella sicurezza: quando il coraggio chiede prudenza
Non solo competitore né solo commentatore: Andrea fondò nel 1991 il Centro Internazionale Guida Sicura in collaborazione con Alfa Romeo, trasformando l’esperienza del rischio in manuale per la sicurezza su strada. C’è un paradosso nel suo destino: l’uomo che giocava con i limiti sull’asfalto ha deciso che la vita degli altri meritava di oltrepassarli solo col cervello, non con il piede sul gas. Nel raccontare questo aspetto, appare chiaro che Andrea sapeva che correre non significa soltanto vincere: significa sopravvivere, capire quando spingere, quando frenare, quando guardarsi attorno.

L’eredità di De Adamich che rimane: oltre la vittoria, oltre il cronometro
Mi piace pensare che, quando ha raggiunto l’ultimo giro non abbia soltanto tagliato un traguardo: ha lasciato un segno indelebile nel panorama dell’automobilismo e della comunicazione. Venticinque secondi di intervista, un sospiro, un casco che si toglie: non è la vittoria che conta ma quello che resta dopo lo spegnimento del motore. Per ogni ragazzino che oggi impara a guidare, per ogni appassionato che aspetta la domenica per guardare le corse, per ogni voce che trasmette qualcosa di più che numeri, Andrea de Adamich è lì, nei fruscii delle gomme, nel sibilo dell’aria, nel Start your engines. E se qualcuno domani chiederà chi fosse, risponderemo: era un ragazzo che ha vissuto la velocità come un’urgenza, trasformata poi in racconto e che non ha mai dimenticato che il vero traguardo è far tornare a casa tutti.

Parole finali per un addio
In un momento in cui i riflettori si spengono, serve silenzio. Non il silenzio di una gara sedata, ma quello del rispetto.
Andrea de Adamich, grazie per averci fatto correre, ascoltare, sognare. Il tuo rombo non s’è spento: risuona ancora, nell’eco delle piste, nella televisione di ieri e di domani e nei motori che attendono il prossimo via. Corri in pace, campione.
Hank Cignatta
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