The Circle, il lato oscuro della connessione

The Circle, il lato oscuro della connessione

The Circle: il lato oscuro della connessione umana

È sera. Una di quelle sere dense, dove il tempo sembra sfilare via come la durata della batteria di uno smartphone lasciato troppo a lungo in stand-by. Scorro distrattamente tra i titoli delle piattaforme digitali, immerso in quella giungla di contenuti costruiti per sedarti. Poi, all’improvviso, The Circle cattura la mia attenzione. Forse è il titolo, forse quella fotografia fredda e patinata che trasuda perfezione. O forse è solo l’ennesima trappola del sistema che ti promette una storia e ti consegna una pubblicità travestita da racconto. Ma non questa volta.

anche lei è confusa dalle logiche

Emma Watson: il cavallo di Troia nel tempio del politicamente corretto

Emma Watson, qui nei panni di Mae Holland, non interpreta semplicemente una parte. È il cavallo di Troia che si infila dentro il tempio esasperato del politicamente corretto e delle pacche sulle spalle tra “guru” digitali e manager dal sorriso plastificato. È la faccia pulita che attraversa l’inferno della retorica aziendale, quella che ti convince che la loro strada sia la tua, come quando una pubblicità ti persuade a comprare l’ultimo aspirapolvere o a donare soldi a una causa di facciata mentre loro si arricchiscono. Startup che vogliono salvarti l’anima, ma intanto ti svuotano dei dati. Multinazionali che predicano etica, inclusività e green economy mentre ti monitorano i pensieri. E nel mezzo, Mae: la donna che non recita il ruolo della salvatrice, ma lo vive con disincanto.

La protagonista realizza

Mae Holland: una donna vera in un mondo di automi

Mae non ha bisogno di hashtag, di campagne motivazionali o di pose da LinkedIn. Ha solo talento puro. E lo scopre a sue spese, lungo un percorso che la mette davanti a una società dove il pensiero critico è un virus da estirpare. È un personaggio che brilla perché non vuole brillare. Una mente acuta pronta ad apprendere per cambiare le regole, non per adattarsi. In un mondo che la vuole trasparente, disponibile, “user friendly”, lei decide di usare il rum per spegnere le fiamme dell’ipocrisia. Un gesto simbolico, anarchico. Un modo per dirci che il vero coraggio oggi è spegnere lo schermo.

Un tipico sordomuto gonzo al bar durante un biga tratto da un film di Bud Spencer

Un film che schiaffeggia il politicamente corretto

Il primo pugno del film arriva senza preavviso: la figura femminile non è un manifesto da copertina né un prodotto del femminismo pubblicitario. È un inno scomposto alla donna in carriera che non ha bisogno di dimostrare nulla, semplicemente è. Poi arriva il secondo schiaffo, come quello di Bud Spencer nei suoi giorni migliori.
The Circle impacchetta il politicamente corretto in palline di carta e le lancia contro le piccole imprese, quelle che non possono permettersi di non essere perfette, inclusive, green e sempre connesse.

Il risultato è un mondo dove l’ideale diventa oppressione, dove la trasparenza è una gabbia di vetro, e dove ogni like è una catena. Siamo dentro il cerchio e nessuno sa più dove sia l’uscita.

Lo smartphone: l’illusione della libertà

C’è poi lui, l’oggetto sacro della modernità: lo smartphone. L’appendice digitale che ci fa credere di essere liberi mentre ci tiene in ostaggio. The Circle lo mostra senza pietà: siamo drogati di notifiche, schiavi dell’approvazione altrui, vittime di una condivisione compulsiva. Non siamo più in grado di fare un pasto senza fotografarlo, non viviamo più senza raccontarlo. La vita è diventata un flusso da documentare e non da sentire. Mae, nel suo percorso, ci sbatte in faccia questa dipendenza con una lucidità che ferisce. La privacy è ormai un concetto vintage, riservato a pochi nostalgici del silenzio e della solitudine. Il resto del mondo scorre, commenta, acconsente.

Algoritmi e consenso automatico: la nuova schiavitù

Ogni click è registrato. Ogni parola analizzata. Ogni emozione convertita in dati da vendere. La società di The Circle non è futuristica: è oggi. Un universo in cui l’individuo diventa un algoritmo vivente, un utente che annuisce, partecipa, condivide. E poi viene risucchiato in un flusso dove non è più lui a decidere, ma un sistema che stabilisce cosa deve desiderare, comprare, pensare. Non serve sangue o splatter per far paura. Qui l’orrore è il consenso automatico.

Conclusione: un film necessario, non perfetto

The Circle non è un film perfetto, ma è necessario.
È un viaggio dentro la psicosi collettiva del nostro tempo, un pugno di realtà travestito da intrattenimento.
Una finestra su un futuro che, a ben guardare, è già presente. Forse è solo il mio istinto turbato a parlare, ma la voce dentro di me urla: Svegliati, cyborg! Ti stanno rubando l’anima mentre scorri il feed!

Alan Comoretto

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Appassionato di tecnologia, cinema, musica, fumetti e teatro. Scrivo su diverse tematiche con uno stile pungente e riflessivo, negli anni ho collaborato anche con alcuni editori italliani del fumetto, ho curato diversi progetti online e mi occupo tra le altre cose del montaggio video professionale di diversi video pubblicati su canali Youtube.

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