Gregory Corso, il santo maledetto della Beat Generation

Gregory Corso, il santo maledetto della Beat Generation

L’urlo dietro l’urlo: chi era davvero Gregory Corso

C’è chi nella Beat Generation cercava l’illuminazione e chi, invece, voleva soltanto sopravvivere alla notte. Gregory Corso apparteneva a quest’ultima razza: quella degli uomini che nascono in un vicolo sporco, imparano a rubare per mangiare e poi, chissà come, riescono a scrivere poesie che sembrano bestemmie al cielo. Era il più giovane del gruppo, il fratello minore spirituale di Allen Ginsberg, Jack Kerouac e William S. Burroughs. Ma anche quello più imprevedibile, più anarchico, più reale. Un poeta che portava addosso il marchio del Bronx e la rabbia di chi non ha mai avuto nulla da perdere.

Gregory Corso

Gregory Nunzio Corso nasce a New York nel 1930 da genitori di origini italiane, abbandonato dalla madre e cresciuto tra orfanotrofi, prigioni e strade. La sua poesia non è mai stata un esercizio letterario ma un modo per rimanere vivo. A diciassette anni viene arrestato per rapina e finisce nel carcere di Clinton dove scopre i libri e, soprattutto, la poesia. È lì, tra muri umidi e corpi sfiancati, che Gregory incontra la voce di Shelley, Keats e Rimbaud. E decide che anche lui, un giorno, urlerà al mondo il suo dolore in versi.

L’incontro con Ginsberg: nascita di un’anima Beat

Quando Corso incontra Allen Ginsberg nel 1950, a una delle riunioni fumose dei futuri Beats, qualcosa scatta. Allen lo guarda e vede in lui un genio grezzo, un diamante buttato nel fango. Corso, da parte sua, trova in Ginsberg l’unico che non lo giudica per i suoi furti, la povertà, la follia. Nasce una fratellanza spirituale che attraverserà decenni, letture pubbliche, viaggi e droghe. Ginsberg lo incoraggia, lo introduce al mondo letterario e lo spinge a pubblicare. Così, nel 1955, esce The Vestal Lady on Brattle, la sua prima raccolta. È poesia sporca, viscerale, selvaggia. Parla di sesso, morte, prigione, ma anche di Dio, amore e redenzione.

Allen Gingsberg insieme a Corso


Corso è già diverso dagli altri Beats: meno mistico di Ginsberg, meno narrativo di Kerouac, meno teorico di Burroughs. È un poeta nel senso più puro e disperato del termine. “Scrivo perché la poesia mi salva,” diceva, “non per salvare la poesia.”

“Bomb”: la poesia come esplosione nucleare

Nel 1958 pubblica Gasoline, una raccolta che consacra il suo stile: ritmo frenetico, ironia, rabbia e un’umanità tagliente. Ma è con Bomb che entra nella leggenda. Bomb non è solo una poesia: è un ordigno linguistico, un urlo contro la follia della guerra atomica. Corso la scrive in forma di bomba, con i versi che si aprono graficamente come un’esplosione sulla pagina. È un esperimento poetico e visivo insieme, una delle prime poesie concrete americane.

“Questa è la tua epoca, e questa è la tua bomba,” scrive. La poesia non è contro la bomba, ma dentro la bomba. È un atto di amore e orrore, una riflessione sulla bellezza terribile della distruzione. Corso non predica la pace come un santo ma osserva la violenza del mondo con l’occhio di un poeta che ci è nato dentro. E sorride, amaramente.

Tra follia e divinità: Gregory Corso il vagabondo beatificato

Gregory Corso viveva come scriveva: in bilico tra genio e caos. Dormiva su divani di amici, viaggiava senza soldi, beveva, urlava, spariva per mesi. Era il santo maledetto del gruppo, quello che tutti amavano ma nessuno riusciva a gestire. Kerouac lo considerava “il più autentico di noi”, mentre Ginsberg cercava spesso di salvarlo dai suoi stessi demoni. Ma Corso non voleva essere salvato. Credeva nella poesia come missione spirituale, nella vita come un esperimento cosmico. Vedeva la bellezza anche nella rovina, il sacro nel profano.

Il suo stile era un flusso di coscienza barocco, pieno di immagini mitologiche e strade di New York, di amori sporchi e lampi di misticismo. Leggerlo è come ascoltare un predicatore ubriaco sul bordo di un marciapiede: non sai se ti sta parlando di Dio o dell’inferno, ma senti che tutto quello che dice è vero.

Amore, morte e poesia: l’ossessione finale

Negli ultimi anni, Corso gira il mondo come un fantasma. Vive a Parigi, poi a Roma, poi ancora a New York. Scrive sempre meno ma quando lo fa è puro fuoco. Nel 1981 pubblica Herald of the Autochthonic Spirit, una raccolta che suona come un testamento. L’amore, la morte, la solitudine: tutto si mescola in versi che odorano di verità e whisky. Corso muore nel 2001, a Minneapolis, povero ma lucido, come un vecchio profeta stanco. Le sue ceneri vengono sparse accanto alla tomba di Shelley, nel Cimitero Acattolico di Roma. Il cerchio si chiude: il ragazzo del Bronx che aveva scoperto la poesia leggendo Shelley in prigione, trova finalmente casa accanto al suo maestro spirituale.

La tomba di Gregory Corso a Roma presso il Cimitero Acattolico di Roma

Gregory Corso oggi: l’eredità di un poeta dimenticato

Oggi Gregory Corso è forse il meno citato tra i grandi Beat. Ma chi lo conosce sa che senza di lui quella rivoluzione poetica sarebbe stata monca. Era l’anima più ribelle, la più viscerale, la più umana. I suoi versi restano vivi perché non sono mai stati costruiti: sono nati come urla, risate, ferite. In un mondo dove la poesia si consuma su Instagram, leggere Corso è come bere benzina per poi sputare fuoco. È un atto di resistenza. È ricordarsi che la poesia vera non nasce dal successo, ma dal dolore, dall’amore e dal desiderio disperato di lasciare un segno. Gregory Corso non voleva essere ricordato come un santo né come un poeta. Solo come un uomo che ha visto l’abisso e ha deciso di scriverci sopra versi, ridendo.

Hank Cignatta

Riproduzione riservata ©

Se l'articolo ti è piaciuto condividilo!

Sono la mente insana alla base di Bad Literature Inc. Giornalista pubblicista, Gonzo nell’animo, speaker radiofonico, peccatore professionista, casinista come pochi. Infesto il web con i miei articoli che sono dei punti di vista ( e in quanto tali condivisibili o meno) e ho una particolare predisposizione a dileggiare la normalità. Se volete saperne di più su di me e su Bad Literature Inc. leggete i miei articoli. Ma poi non dite che non siete stati avvertiti.

Post a Comment

Bad Literature Inc. ©

T. 01118836767

redazione@badliteratureinc.com

redazioneuppercut@yahoo.it

alancomoretto@virgilio.it