But Here We Are, I Foo Fighters e il potere taumaturgico del rock
E’ una giornata come tutte le altre qui a Nevrotic Town (o Torino, se amate lo stile liberty): il cielo è nuvoloso ed è sempre sul piede di guerra, intento a minacciare da un momento all’altro uno di quegli acquazzoni improvvisi che rovesciano in pochi minuti una quantità d’acqua mai vista nei mesi precedenti. La mia cagnona Noël è contenta di essere tornata dalla sua passeggiata mattutina e io ho avuto modo di rapportarmi con un nuovo giorno. Tutto procede normalmente nella Terra dei Lotofagi, fino a quando non ricevo un messaggio dalla Dani California che sto frequentando in questo inizio Giugno fatto di domande e di ricerca interiore e che cambia in meglio la mia giornata. Mi dice di raggiungerla al bar dove lavora perché deve darmi una cosa. Mentre la mia ormai mente deviata cerca di vagliare tutte le opzioni possibili, assicuro Noël al sedile del passeggero e faccio rombare la mia Great Point Blue Shark in direzione del luogo dell’incontro. Una volta li la mia cucciola di pitbull è l’oggetto dell’attenzione della Dani California, la quale la riempie di feste e le regala un biscottone da sgranocchiare. Mi accoglie schioccandomi un bacio a stampo sulle labbra e mi porge un piccolo pacchetto dalla forma rettangolare, intimandomi di aprirlo. Vengo preso alla sprovvista mentre cerco di capire che tipo di ricorrenza ci possa essere o che cosa abbia fatto per meritare un regalo, anche se un flashback della serata di due giorni prima potrebbe essere una valida nonché piacevolmente bagnata argomentazione. La carta da regalo rivela un cd dalla copertina totalmente bianca, recante una scritta in basso a destra in maiuscolo quello che credo sia il titolo dell’album. But Here We Are. La Dani California, intenta ad accarezzare la testa di Noël, mi guarda in tutta la sua bellezza e mi dice: “E’ l’ultimo album dei Foo Fighters. Ascoltalo, merita un articolo”.
I Foo Fighters per me sono da sempre uno dei punti di riferimento della nuova generazioni di artisti che sono riusciti a portare il rock in una nuova dimensione. Quando la notizia della morte del loro storico batterista Taylor Hawkins (avvenuta nel marzo del 2022 in seguito ad arresto cardiaco da overdose da droghe) ha fatto il giro del mondo la sensazione che ho avuto fin da subito è che fosse finito un ciclo. Dave Grohl, insieme ad Eddie Vedder e Jerry Cantrell, è una delle ultime divinità dorate del rock che sono riuscite a sopravvivere al successo e agli eccessi di un determinato periodo della storia della musica che ha voluto il suo illustre tributo di vite (vedi Kurt Cobain dei Nirvana, Layne Staley degli Alice In Chains e in tempi più recenti Chris Cornell dei Soundgarden). Quando ha fondato i Foo Fighters è riuscito a rinascere a livello personale e musicale, dimostrando che non si è mai troppo vecchi per fare rock. La morte di Hawkins è stato un duro colpo per tutta la band e per il rock in generale, che ha perso uno dei suoi più talentuosi protagonisti della sua generazione.
But Here We Are è un album importante ed imponente, che significa molto non soltanto per i Foo Fighters ma anche per tutti i loro fan. Molto probabilmente ora ci saranno delle persone in giro che diranno che senza Hawkins il gruppo non è più lo stesso, che non accetteranno mai il fatto che la band vada avanti e che abbia scelto nella persona di John Freese il suo sostituto nel tour promozionale dell’album. Tutto questo rappresenta la fine di un capitolo e l’inizio di un nuovo corso. Il disco si apre con la traccia Rescured, brano dal tipico stile del gruppo, che introduce l’ascoltatore alle diverse palette di emozioni che Grohl e soci hanno messo in questo lavoro a cuore aperto. The Teacher è un grido di liberazione musicale vecchio stile dalla durata di ben dieci minuti, che fa parte della fase di elaborazione musicale del lutto che li ha colpiti. Under You è una di quelle canzoni perfette da ascoltare in una giornata di sole, molto radiofonica e si candida tranquillamente ad essere uno dei prossimi cavalli di battaglia della band durante i loro concerti. Molto bella anche Show Me How, brano dal suono molto anni Novanta, dove Dave Grohl canta insieme alla figlia Violet. Elaborare un lutto non è mai facile perché ognuno di noi ha bisogno di tempo e di modi differenti per farlo. E c’è anche un grande insegnamento dietro alla pubblicazione di questo disco: il dolore può essere (e in alcuni casi DEVE essere) il motore per fare qualcosa di grande e che il potere taumaturgico della musica, così come quello dell’amore, è infinito. E i Foo Fighters, nonostante il destino che alle volte è un beffardo figlio di puttana, sono ancora qui nonostante tutto.
Hank Cignatta
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