El Hoyo (il buco): una cinica e feroce critica alla società moderna e a tutte le sue scintillanti puttanate
Nella società ci sono delle gerarchie, è ovvio. Specialmente nella nostra, che ha velleità di emancipazione sotto diversi aspetti ma che in fondo si perde in mezzo bicchiere d’acqua. E tutto ciò che abbiamo non è che la mera illusione di aver conquistato qualcosa, che in realtà è attaccato con lo sputo ad un muro scrostato, pronto a venire giù alla prima folata di vento. Ne è la più grande riprova questo Coronavirus, in grado di mettere in ginocchio la società occidentale che un tempo era esempio di modernità ed efficienza. Sono molti i film di denuncia sociale che nel corso degli anni sono stati in grado di denunciare l’ipocrisia del mondo moderno e alcuni sono così azzeccati da essere tremendamente attuali anche ad anni di distanza. In tempi in cui la normalità pare essere solamente una parola accentata alla quale affiancare una rima frettolosa e dove nessuna idea viene presa in considerazione per il suo reale valore creare un film che possa far riflettere le ultime teste pensanti di una società di luci intermittenti è davvero ardua impresa. E in questo il film El Hoyo (Il buco o la fossa tradotto dallo spagnolo) ci è riuscito in pieno.
Il film, diretto dal regista iberico Galder Gaztelu-Urrutia, è ambientato all’interno di una prigione che si sviluppa all’interno di un edificio verticale, suddivisa in piani. Ogni singolo piano è numerato e al centro vi è un buco di dimensione quadrata dove passa una piattaforma semovente che altro non è che una tavola imbandita con ogni sorta di leccornia. Questa imponente tavola, dove vi sono i cibi preferiti di ogni detenuto, viene preparata da un team di cuochi e camerieri che si trovano al piano zero. Da qui ha inizio il viaggio della piattaforma, che si muove di piano in piano fino a raggiungere l’ultimo. La storia segue nel dettaglio la vicenda di Goreng, uno dei volontari di questa forma di sperimentazione detentiva, il quale decide di entrare nell’edificio per una durata di sei mesi, del tutto ignaro della reale situazione che troverà una volta all’interno e con solo una copia del romanzo Don Chisciotte De La Mancha. Si risveglia in una stanza situata al quarantottesimo livello, dove incontra l’anziano e criptico Trimagasi, suo compagno per quel livello. L’uomo è armato di un solo affilato coltello e confida a Goreng di trovarsi nella prigione per scontare un anno di pena per omicidio colposo. L’eccentrico anziano lo inizia a quelle che sono le rigide regole della prigione, alle quali bisogna rigorosamente attenersi. Ha quindi inizio un viaggio verso l’abisso della follia umana.
La convivenza con i compagni di “cella” dura un mese, al termine del quale si cambia sia piano che personaggio che affianca il protagonista. Più il piano è alto più si ha la possibilità di mangiare ogni sorta di prelibatezza. Più il piano è basso e più si rischia di patire la fame, in quanto coloro che soggiornano ai piani superiori si affrettano a spazzolare ogni cosa e a non lasciare più nulla a chi si trova in basso. L’ambientazione del film ricorda una sorta di girone dantesco in una versione più cinica e tremendamente attuale, che ricalca alla perfezione il modello di società nella quale viviamo. C’è chi aveva il potere, chi fa i conti con i propri errori, chi ormai è troppo vecchio per cercare di cambiare, chi si trova a proprio agio in ciò che vede e chi invece, come il protagonista, si batte per raggiungere la verità. Un fantastico esempio di come anche noi, quando l’emergenza di questa pandemia è terminata, siamo tornati ad essere gli stessi primati rabbiosi di sempre senza aver capito un cazzo da tutta la faccenda. E’ ovvio.
Hank Cignatta
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