Johnny Cash Extravaganza
La giornata inizia con una tremenda fitta che mi spacca in due la testa. Dopo alcuni imbarazzanti tentativi mi metto dritto ed inizio la giornata. Tra una bestemmia bene augurante e un rutto mefistofelico prendo coscienza del fatto che il tempo è completamente impazzito, allontanando la copiosa pioggia della sera prima e lasciando spazio a quel gigionesco figlio di puttana comunemente chiamato Sole. Mi scrollo di dosso una parte di quell’imbarazzante torpore fisico ed emotivo e metto su un disco con il meglio di Johnny Cash. Si inizia con Ring Of Fire, ballata dedicata all’amore caratterizzata da “fiati” messicani (a livello musicale s’intende, che poi sapessero di burritos non ci è dato di sapere) e dal ritmo sincopato della chitarra che accompagnano la voce grave e inconfondibile di Cash. Ed è subito un susseguirsi di sciami sismici di orgasmi musicali.
Cash è uno di quegli artisti capace di farti innamorare, in un modo o nell’altro, della sua musica. Lui non si esibiva ma viveva ciò che suonava, sia che fosse in studio o dal vivo. Mi piace pensare che fosse come una sorta di moderno cantastorie uscito da uno degli angoli più remoti dell’inferno per cercare di farci comprendere che, per quanto le cose possano andare di merda, ci sarà sempre una voce in grado di farci risalire dalle oscurità e dal peso che la vita ci butta addosso. The Man In Black (come era e continua ad essere soprannominato dai suoi fans per via del colore scuro degli abiti che era solito indossare) è diventato una sorta di antieroe. Johnny Cash è la rockstar per eccellenza, capace di essere umano come chiunque ma allo stesso tempo capace di realizzare qualcosa di unico che nessuno è stato in grado di fare come (o meglio) di lui. Per comprendere meglio questo concetto, mettete su l’album American IV: The Man Comes Around.
E’ un vero e proprio viaggio mistico che porta l’ascoltatore verso una nuova dimensione fatta di dolore, riscatto e desiderio di redenzione che, grazie alla lungimiranza del produttore discografico Rick Rubin, ha permesso di far conoscere a livello musicale Cash alle nuove generazione. Almeno a quelle ancora abituate e capaci di distinguere qualcosa di eccelso da una delle tante ciotole di merda e vomito che girano oggigiorno. American IV è anche l’ultimo disco di Cash pubblicato prima della sua morte avvenuta a poco tempo di distanza da quella dell’amatissima moglie June Carter. E’ un grande testamento stilistico e musicale dove brani come Hurt dei Nine Inch Nails, Personal Jesus dei Depeche Mode e One degli U2 assumono un connotato più intimo che estrapola i brani dalle versioni canoniche per elevarle ad una nuova vetta di misticismo musicale. Da brividi davvero. E il potere taumaturgico della sua epica musicale inizia ad avere i primi effetti sulla mattinata del povero stronzo che vi scrive: ecco che quel mal di testa lascia spazio ad uno strano moto dei miei muscoli facciali che mi porta ad assumere una strana smorfia che, cercando su Internet, ho letto che si chiama “sorriso”. Una cosa totalmente nuova per me e per la mia faccia.
Hank Cignatta
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