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    Inca Kola, storia della bevanda che ha sfidato un impero

    Inca Kola, storia della bevanda che ha sfidato un impero

    Sfreccio per le strade di Nevrotic Town a bordo della mia fedele Great Point Blue Shark mentre una fitta pioggia bagna questa giungla urbana. La luce dei semafori si riflette nelle pozzanghere sporche della città mentre tento di combattere contro l’apatia del traffico dell’ora di punta di un giorno di metà settimana qualunque. La Great Point Blue Shark mi assicura una buona tenuta sull’asfalto bagnato ed azzardo, premendo il piede sull’acceleratore. In pochi minuti mi trovo sotto casa della Dani California con la quale mi sto vedendo in questo periodo. Le mando un messaggio e in pochi istanti esce dal portone, salendo in macchina in tutta la sua bellezza sudamericana. Mi ha detto che ha prenotato in un ristorante che fa cucina peruviana, il Paese dal quale provengono i suoi genitori. Il posto è molto accogliente e immerge subito nelle atmosfere peruviane. La Dani California saluta i proprietari, mi presenta e poco dopo ci accompagnano al nostro tavolo. Ci sediamo e mi sorride. Guarda il menù con confidenza, sapendo esattamente cosa ordinare. Io butto uno sguardo impacciato al menù e mi faccio conquistare dai tamales, involtini di mais macinato conditi con spezie delle Ande, avvolti in una foglia di platano affumicato e cotto al vapore con ripieno di pollo stufato. Ordino poi una porzione di lomo saltado, uno dei piatti tipici del Perù, che consiste in tenera carne di filetto di maiale saltata in padella con cipolle di Tropea, riso bianco e patate a taglio grosso.

    Una porzione di lomo saltado

    Mentre io e la Dani California conversiamo arrivano le nostre portate: per innaffiare il tutto ordino un cocktail molto leggero mentre alla mia piacevole compagnia viene servita una bottiglietta di Inca Kola. Incuriosito chiedo di che cosa si tratta e la Dani California si illumina: è una bevanda analcolica gassata dall’acceso colore giallo e dal forte odore di gomma da masticare. Mi chiede se voglio assaggiarne un sorso: incuriosito mi lancio in questa nuova esperienza sensoriale, che in fondo è il tema principale di questa serata. Di primo acchito mi sembra di sorseggiare una bottiglia di Soluzione Schoum non alcolica, solo molto dolce e frizzante: è sicuramente una bevanda molto gustosa ma forse troppo dolce per chi non è abituato a consumarla. La Dani California sorride alla mia reazione e mi dice che si chiama Inca Kola, la bevanda più consumata in Perù. Il suo caratteristico colore giallo è da ricercarsi nella pianta della verbena odorosa con la quale è realizzata, che le conferisce quel caratteristico sapore molto dolce e fruttato. Esattamente come il Paese dal quale proviene, la storia dell’Inca Kola è unica quanto interessante. Infatti non è soltanto una bevanda gassata ma un prodotto che si è opposto all’impero della bibite addizionate con anidride carbonica.

    Una bottiglia di Inca Kola

    La storia dell’Inca Kola ha inizio nei primi anni del Novecento, dove una famiglia immigrata dall’Inghilterra creò una piccola azienda d’imbottigliamento a Rimac, uno dei quartieri più antichi di Lima. L’azienda portava il nome della famiglia che la fondò, ovvero Lindley. Nel 1928 Joseph R. Lindley divenne amministratore unico dell’omonima azienda, facendola prosperare: negli anni Trenta infatti vantava una linea di soda di dieci gusti prodotta sotto la sua etichetta. Nel 1935, in occasione del quattrocentesimo anniversario della fondazione di Lima, Lindsay introdusse quello che sarebbe diventato il prodotto di punta e più famoso della sua azienda: la Inca Kola. Il nome richiamava all’orgoglio nazionale, evocando l’antico impero Inca come una carta vincente sul tavolo da gioco della globalizzazione imperante. Perché scegliere un nome così carico di significato? Semplice: nel profondo del cuore peruviano c’è sempre stato un desiderio bruciante di rivincita. Dopo secoli di colonizzatori spagnoli e l’onnipresente invasione culturale americana, serviva qualcosa che fosse davvero autoctono. Lindley aveva creato quel qualcosa. E non aveva idea che stava per sconvolgere l’egemonia a stelle e strisce delle bibite gassate.

    Vecchio manifesto pubblicitario dell’Inca Kola

    Negli anni Quaranta l’Inca Kola era leader del mercato a Lima grazie ad una campagna pubblicitaria molto aggressiva: l’azienda fece leva sul nazionalismo peruviano molto vivo nella popolazione. L’azienda infatti posizionò la bevanda come tradizionale peruviana usando immagini nazionali ed iconografie indigene. Il risultato di tale campagna fu un notevole incremento di vendite dettato dal grande successo di questa campagna pubblicitaria. Negli anni Settanta Inca Kola aveva saldamente ottenuto il trentotto percento del mercato, imponendosi su tutte le altre bibite gassate in Perù e facendo si che lo slogan pubblicitario fosse la bibita del Perù. Negli anni l’eterna lotta tra la Inca Kola e la Coca Cola le fece duellare in una forchetta di mercato che oscillava tra il 32,9 % per la prima e il 32% per la bibita americana. Ciò portò il colosso statunitense a promuovere molte attività in Perù, comprese le grandi competizioni calcistiche per ottenere più visibilità. Bembos, una locale catena di fast food che riuscì in Perù a superare McDonald’s e a erodere significative quote di mercato a Burger King fino a farla decidere di uscire fuori dal mercato del Paese, decise di servire nei suoi punti vendita la bibita gialla al posto della Coca Cola, incrementando la clientela con tale mossa commerciale. Dopo ad un’attenta analisi di mercato dettata dal successo di Bembos, McDonald’s costrinse la Coca Cola ad accettare la vendita della Inca nei suoi punti vendita stabilendo così un primato in quanto fu l’unico luogo in cui la The Coca Cola Company accettò un compromesso simile.

    Alla fine degli anni Novanta però la famiglia Lindley si stava guardando attorno per trovare un nuovo partner commerciale: fu così quindi che la Coca Cola si mise il vestito buono e si presentò al tavolo delle trattative, chiudendolo nel 1999 con l’acquisizione del 50% di Inca Kola e del 30% della società José R. Lindley per un totale di trecento milioni di dollari. La Coca Cola cercò in seguito di lanciare la Inca anche in altri Paesi al di fuori del Perù ma senza successo. Nel 2005 la José R. Lindley ebbe modo di riacquistare le sue azioni della società. Negli anni sono comparse sul mercato altre bibite gassate che cercavano di porre l’accento sul fatto che la Inca non fosse più la bibita nazionale, essendosi venduta agli yankee. Ma una volta riprese le sue azioni dalla società Lindley, tutto tornò di nuovo sotto i colori nazionali: il nome e la fama della Inca Kola è talmente radicato nella cultura peruviana che nessuna pubblicità ne ha potuto scalfire l’egemonia e il blasone.

    kMurales pubblicitario che reca il famoso slogan di Inca Kola

    Ma il Perù, mio ​​caro, non è un Paese che si ferma ai dettagli. I peruviani bevono Inka Cola con tutto, persino con piatti sofisticati che uno chef francese probabilmente servirebbe con un vino bianco secco. La bevono infatti con il pollo alla brasa e persino con il ceviche, il piatto fresco che ha il potere di rivitalizzare anche l’anima più appassita. Ma cosa rende davvero unica l’Inca Kola? È il gusto di disordine , di sovversione. Non puoi capirla se pensi con la logica occidentale del gusto “equilibrato”. Non si preoccupa di essere raffinata, non ha tempo per le tue noiose aspettative da sommelier di provincia. Inca Kola è una festa anarchica per le papille gustative, è l’esuberanza di un popolo che si è stancato di essere colonizzato. Il suo sapore è come la musica della cumbia psichedelica: ti prende alla sprovvista, ti sbatte in faccia un mondo che non conoscevi. È come mordere una nuvola di zucchero filato mentre sei seduto su una montagna sacra a 4000 metri, contemplando la maestosità delle Ande. L’Inca Kola non cerca di essere qualcosa che piace a tutti. È un atto di ribellione in forma liquida. È il “no” che dici quando tutti si aspettano che tu dica “sì”.

    Hank Cignatta

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