Spencer Elden vs Nirvana, ovvero quando il finto perbenismo non sa più come rompere i coglioni
Ci sono degli album che sono diventati dei pilastri della storia della musica, un concentrato assoluto di capolavori capaci di creare uno sciame sismico di orgasmi sonori (rigorosamente intensi e bagnati) capaci di incastrarsi tra le pieghe del tempo. Lo stesso vale per alcune copertine dei dischi, diventate vere e proprie opere d’arte visive che sono la quintessenza di un determinato genere musicale, artista o band. In questo frangente i Nirvana rappresentano, in ordine di tempo, le ultime divinità dorate del rock, portabandiera di quella grande favola collettiva quale è stata la visione commerciale del Grunge, svegliatasi bruscamente con l’eco del colpo di fucile che ha messo fine alla vita terrena del suo leader Kurt Cobain, consegnando la sua figura alla leggenda.
Data musicale 1991. I Nirvana avevano da poco dato alle stampe il loro secondo album in studio, Nevermind, contente Smell Like Teen Spirit, brano che diventerà IL successo per antonomasia della band, nonché il più suonato dai ragazzini nei negozi di strumenti musicali e il più trasmesso dalle emittenti radiofoniche e televisive per riferirsi al gruppo di Aberdeen. Il disco ottiene in breve tempo un grande successo planetario, il video di Smell Like Teen Spirit diventa uno dei più trasmessi da Mtv e Kurt Cobain assurge ufficialmente a figura di guida spirituale del Grunge, che diventa così molto di più di una semplice mania collettiva temporanea. Insieme all’album anche la sua copertina diventa leggendaria: ritrae infatti un bambino di pochi mesi intento a nuotare in una piscina completamente nudo, incuriosito da una banconota da un dollaro attaccata ad un amo.
Il bambino protagonista di quello scatto è Spencer Elden, che all’epoca aveva quattro mesi, ritratto nella scatto dal fotografo Kirk Weddle, amico del padre di Spencer, che gli chiese se fosse intenzionato a far immortalare nel celebre scatto il figlio all’interno di una piscina, previo compenso di 200 dollari (come ricordato dal padre di Elder nel corso di un’intervista rilasciata nel 2008). Spencer, oggi trentenne, ha intentato causa ai restanti membri dei Nirvana (Dave Grohl e Krist Novoselic) per centocinquanta mila dollari di danni, come riportato dal sito web di gossip TMZ. Le accuse mosse ai rimanenti componenti del gruppo sono di sfruttamento sessuale di minore: ciò si basa sulla tesi che nel 1991, anno di pubblicazione di Nevermind, Elder non fosse in grado di intendere e volere e quindi non in grado di poter dare il suo consenso all’utilizzo della propria immagine. Inoltre il ragazzo ha affermato che la fama generata da quello scatto gli ha portato diversi problemi psicologici e relazionali, che starebbero alla base della causa da lui intentata ai Nirvana.
Negli ultimi anni la copertina, diventata una tra le più riconoscibili, citate e famose della storia della musica statunitense e mondiale, è stata al centro di alcune polemiche per il fatto di ritrarre le parti intime dell’infante, diventando così fonte accessibile al malato e perverso ludibrio di pedofili. Alcuni negozi di dischi, visto la censura dell’America finto perbenista, hanno venduto il disco mettendo un bollino all’altezza del pene del bambino, per evitare ogni tipo di problema e polemica. Questo ennesimo (e forse definitivo) capitolo della vicenda non fa davvero più notizia e si inserisce in altri casi simili (vedi anche quello recente tra il Moige e la denuncia per presunta oscenità tentata a Tim e a Lino Banfi, “colpevoli” di aver sdoganato il porca puttana all’interno di una pubblicità massicciamente messa in onda nelle ultime settimane), dove il politicamente corretto e il finto perbenismo diventano una pericolosa imposizione che rischia di portare a tutt’altri risultati rispetto a quelli che si prefigge di combattere. Oltretutto Elder, che si è fatto ritrarre in alcuni scatti in piscina per cercare di imitare sia Kurt Cobain e per cercare di ricreare quello della copertina del disco, si è fatto tatuare sul petto la parola Nevermind, che oltre ad essere una parola largamente usata nel linguaggio inglese è (guarda caso) anche il nome dell’album.
Bisognerà sicuramente vedere l’evolversi di questa vicenda legale, ma siccome a pensar male si fa peccato ma quasi sempre ci si azzecca, l’intera vicenda suona come un disperato tentativo di smarcarsi dell’etichetta del bambino della copertina di Nevermind, nonché quello di cavalcare l’onda di questi pericolosi ed incerti tempi moderni dove un’accusa, spesso ancor prima di essere confutata, diventa una dei tristi modi più facili per guadagnare visibilità.
Hank Cignatta
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