Kingdom, un profondo e cazzuto insegnamento per imparare a colpire più duro della vita
Interno. Notte. Una sera qualunque di tre anni fa. Mi metto alla ricerca dei sottotitoli in italiano di Animal Kingdom, una serie tv che ancora non era arrivata qui da noi. Nel mio peregrinare nei siti che fornivano un prezioso contributo a chi voleva smarcarsi dall’egemonia dei network televisivi o più semplicemente venire a contatto con telefilm che non avranno mai motivo di arrivare in Italia in quanto automaticamente bollate come “non commerciali”, mi imbatto in qualcosa di diverso da ciò che stavo cercando. Accanto ai sottotitoli che stavo cercando trovo quelli per una serie intitolata “Kingdom (2014)”. Avrei potuto lasciare perdere e continuare con ciò che stavo effettivamente cercando ma a tutt’oggi non so ancora spiegare il motivo che mi ha spinto a informarmi di più riguardo questa serie televisiva. E mai come in questo caso la mia fottuta curiosità mi ha permesso di venire a contatto con qualcosa di siffatta sublimazione. Non sono uno di quelli che viene posseduto da uno sciame sismico di orgasmo per il prodotto televisivo via cavo del momento e ho anche dei gusti abbastanza complicati essendo un noto rompicoglioni, ma questa serie è stata in grado nel non semplice compito di rapire completamente la mia curiosità episodio dopo episodio, puntata dopo puntata.
Kingdom racconta la storia di Alvey Kulina, ex lottarore di arti marziali miste (o MMA se preferite) di fama mondiale. Ormai ritiratosi a gestire la sua palestra Navy Street che gestisce con la sua fidanzata Lisa, si districa tra le difficoltà nel riuscire a mantenere aperta la sua attività e a gestire i rapporti non del tutto semplici con i figli Nate (giovane lottatore nonché principale talento della Navy Street) e l’impulsivo Jay. In tutto questo si aggiungono l’arrivo in città di Ryan Wheeler (lottatore di fama mondiale nonché ex fidanzato di Lisa) e la figura di Christina, ex moglie di Alvey nonché madre di Nate e Jay, affetta da problemi mentali e dedita all’abuso di droghe. A differenza di quello che potrebbe sembrare Kingdom non è una volgare dimostrazione di potenza degli incontri in gabbia. Certo, questo elemento ha dei passaggi chiave in quanto ambiente nel quale si snoda l’intera vicenda. Ma la bellezza di questa serie sta proprio nel riuscire a rappresentare al meglio le sfumature psicologiche di ogni singolo personaggio, ognuno tormentato dai propri demoni interiori, figli di quel passato che tenta con tutti i mezzi di riemergere con tutte le sue devastanti possibili conseguenze. Ogni episodio dipana un vero e proprio viaggio all’interno delle debolezze umane nelle quali pare facile cadere ma assai molto più difficile uscirne.
Con molta difficoltà questa serie giungerà nei palinsesti dei network nostrani, intenti a perseguire il millenario paradigma del panem et circenses di mediatica origine. E la domanda che si pone Alvey all’inizio e poi al termine della serie è una di quelle che ci poniamo tutti i giorni: sono uno dei forti o uno dei deboli? E ovviamente la risposta è molto più complessa di quello che possa sembrare.
Hank Cignatta
Riproduzione riservata ©