L’arte di respirare di nuovo

L’arte di respirare di nuovo

Routine quotidiana

Ieri pomeriggio doveva essere un pomeriggio di studio come tutti gli altri nella mia routine di osteopata; i pazienti aspettano in sala d’attesa, nella speranza di non aspettare troppo; entrano in stanza, si accomodano, si lamentano dei loro dolori, delle cattive posture a lavoro; io ascolto, valuto il da farsi, cerco di far capire che come sempre la chiave di tutto è il movimento; ed alla fine il mondo continua a girare un po’ inclinato, come è solito fare. Invece quel pomeriggio no.

L’incontro inatteso

Entra una ragazza un po’ curva, come se la sua schiena trasportasse il peso della civiltà occidentale con i suoi giudizi e pregiudizi; la cosa che mi colpisce è il sorriso che nonostante tutto quel peso rimane lì, senza accennare una smorfia per tutto quello che si porta dentro.

Il peso invisibile

Si siede, inizia a raccontarmi la sua storia, fatta di esami clinici, visite di ogni tipo, recitando quasi un rosario con un ritmo cadenzato e preciso.A quel punto mi sono chiesto da dove partirà mai questo dolore e questo suo essere. Il dolore parte da qui, mi dice, indicando tutto. Una dichiarazione universale. In quel gesto c’era tutto: l’ufficio, il traffico, la famiglia, i rimorsi. Per lei era l’ultima spiaggia, mancava solo un pellegrinaggio. Dopo la nostra chiacchierata, sembrava più una confessione, abbiamo provato a fare qualche movimento insieme per comprendere un po’ meglio come riesca a muoversi nonostante il tutto.

Il respiro trattenuto

Le chiedo di respirare, ma nulla si muove, come se il diaframma stesse trattenendo troppi ricordi per lasciarsi andare all’esperienza più naturale di sempre come il respiro. Capisco quindi che il problema non sono i muscoli e le articolazioni che strattonano il corpo in tutti le direzioni, pur di avere un po’ di movimento e spazio, bensì sono i pensieri, i ricordi, i rimorsi.

Una strada diversa

Da lì la visita prende tutta un’altra strada; lei si sdraia sul lettino, che un po’ scricchiola come se anche lui sapesse che la ragazza, nonostante la sua esile corporatura, si porta dietro un baule di emozioni e sensazioni. Decido quindi di utilizzare una chiave di accesso un po’ diversa, d’altronde, lei non era un paziente come tutti gli altri di quel pomeriggio. La prima cosa sulla quale pongo l’attenzione è la cervicale, e lì, con i miei strumenti, le mani, inizio a sondare il terreno, come se le mie mani si muovessero in un campo minato, dove basta un passo sbagliato per rovinare tutto. L’unica cosa da fare rimane seguire una strada precisa, aprire delicatamente quel baule che porta con sé, con l’ausilio di tecniche dolci, con il solo scopo di alleggerire un po’ alla volta tutto quel peso ed è durante queste tecniche che l’inevitabile è avvenuto.

Lacrime e liberazione

Le sue lacrime cadono dapprima frenate, come se volesse trattenerle perché parte integrante del suo essere, ma poi tutto cambia ed iniziano a scorrere come un rubinetto aperto. Eccola lì, la chiave giusta, rilassare la cervicale, trattare il diaframma, mobilizzare il costato ma soprattutto farla concentrare sul suo respiro, non serviva altro, solo qualcuno che avesse semplicemente un tocco terapeutico e che l’aiutasse a ricordare come si respira. D’altronde anche la letteratura scientifica parla di “tocco terapeutico”. Il tempo passa, la gabbia toracica torna a muoversi, l’aria nella stanza ha un peso diverso, la terra adesso ha un respiro in più. “Mi sento più leggera” dice, Sorrido, “Certo che si” “Hai lasciato metà delle tensioni sul lettino” e forse penso, hai svuotato una parte del tuo baule.

La magia del mestiere

Finisce la visita, Mi lavo le mani, ma non del tutto, un pezzo di storia è rimasta lì, nel via vai dei pazienti di quel
giorno. È il prezzo di questo mestiere, Ma forse anche un po’ la sua magia.

Alessandro Grasso

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