Editoriale Gonzo: Catania e la Ferita Aperta che Non Vuole Guarire
Scrivere di Catania, come ho già fatto nel mio precedente articolo, significa immergere le mani in una ferita fresca che continua a zampillare sangue e che non accenna a rimarginarsi. Le Ciminiere non sono semplicemente un luogo, non sono un complesso architettonico da cartolina o un punto di riferimento infilato distrattamente in una guida turistica. Sono un altare culturale. Un cuore industriale, artistico e sociale. Una memoria collettiva che, ancora una volta, brucia sotto gli occhi di un popolo stremato dall’indifferenza.

Le fiamme hanno divorato storia, arte ed identità. E non esiste titolo di giornale né post indignato sui social capace di restituire la grandezza della perdita. Qui non parliamo di macerie: parliamo di un patrimonio culturale violato. Di un dolore che nessuna calce potrà coprire. Un po’ come quando dei ladri ti entrano in casa e ci si sente violati in qualcosa di proprio.

Le Ciminiere: Simbolo Tradito di una Catania che Resiste
Le Ciminiere non sono un simbolo vuoto, non sono un soprammobile urbano da osservare da una cartina. Sono un luogo da vivere, da attraversare, da amare. Eppure da troppo tempo sono vittime della loro stessa bellezza. Abbandono, incuria, incompetenza.

Tecnici inadeguati, promesse mancate, incapacità amministrative, responsabilità evaporate come fumo. Il risultato? Un sito pionieristico lasciato al suo triste destino, mentre chi ci crede davvero e chi investe tempo, risorse e la propria anima viene sbeffeggiato e deriso.
Maestranze e Dignità: Il Lavoro che Manca e le Scuse che Abbondano
Parlare di maestranze, di operai e tecnici che avrebbero dovuto ridare dignità alle Ciminiere è quasi ironico. La dignità non si compra a ore. Non si affitta in un lounge bar. La dignità si conquista con una visione, con la fatica, assumendosi responsabilità reali e mettendoci la faccia.

Io, discendente e parte attiva del settore culturale, sento questo dovere morale addosso come una seconda pelle. Pagare maestranze senza un progetto culturale protetto è come mettere una toppa bianca su un vestito di amianto. È inutile. Non protegge. Non cura. Non salva. Distrugge. E soprattutto tradisce: tradisce un territorio, tradisce chi ci crede, tradisce la cultura stessa.

Etna Film: Dove Catania Diventò la Hollywood del Sud
Tra i nomi che dovremmo scolpire nella memoria, ce n’è uno che più degli altri brilla come una cometa ostinata: Alfredo Alonzo, Cavaliere nominato dal Re ai tempi in cui l’ipocrisia dei titoli non era un mestiere sopravvalutato . Un uomo che credeva nelle persone, nella cultura e nella Sicilia quando la Sicilia stessa aveva smesso di crederci, in quanto non conosceva il suo potenziale.

Alla fine dell’Ottocento diede lavoro a più di quattromila persone grazie alla più grande fabbrica di zolfo d’Europa. Poi, quando il mercato dello zolfo crollò a causa del metodo Frasch, non si arrese: convertì tutto nel cinema. Nacque così Etna Film, la più grande casa cinematografica europea dell’epoca — un progetto che avrebbe ispirato persino la nascita di Cinecittà.

Nomi come Francesco Alliata, Gaetano Ventimiglia e le famiglie Florio e Sangiuliano hanno alimentato questo fuoco culturale. Noi discendenti abbiamo il dovere morale di proteggerlo.
Il Museo del Cinema: Memoria e Identità in Frantumi
Dentro le Ciminiere c’erano due teatri meravigliosi, voluti dall’architetto Leone, visionario autentico che credeva nella cultura come strumento di rinascita sociale. E c’è il Museo del Cinema, creato grazie all’amore ostinato di famiglie, studiosi, collezionisti e figure iconiche come quelle di Pippo Baudo e il professor Sebastiano Gesù, insieme al genio scenografico di François Confino.

Le famiglie donavano macchine da presa, documenti, pellicole: frammenti di sogni. Non oggetti, ma identità. Vederle andare in fumo è stato come perdere un pezzo di noi stessi. Una violenza culturale. Un tradimento perpetrato a generazioni che hanno creduto nel cinema come linguaggio universale. E il silenzio di chi avrebbe dovuto vigilare fa più danni del fuoco.

Cultura Ferita: Il Dovere di Denunciare Senza Paura
Lavorare nella cultura in un territorio difficile come la Sicilia significa abituarsi all’incompreso. È un mestiere che richiede coraggio, costanza, schiena dritta. Significa disturbare chi vorrebbe seppellire tutto sotto la cenere del quieto vivere. Ecco perché dobbiamo farci sentire. Dobbiamo gridare, denunciare, raccontare, anche quando nessuno sembra voler ascoltare.

Etna Comix, Burattini Senza Fili e la Visione che Tiene in Vita la Cultura
Esiste però chi resiste. Chi non si arrende. Chi alimenta la cultura con la forza delle idee e il sudore del lavoro. Penso a Etna Comix, fiera culturale riconosciuta a livello nazionale. Penso a realtà visionarie come Burattini Senza Fili, giovani coraggiosi che hanno dato luce a un territorio offuscato da troppa rassegnazione.
La cultura ferita si cura con azioni, con investimenti veri, con progetti reali. Non con frasi fatte. Non con ipocrisia istituzionale.
Catania tra Lava e Burocrazia: Una Città che Resiste Nonostante Tutto
Catania è una città fatta di lava e burocrazia. La lava protegge, la burocrazia soffoca. È questa la contraddizione eterna che strangola la città. Le Ciminiere ne sono il simbolo: da un lato resistono, dall’altro vengono abbandonate con spiegazioni inconsistenti come boati di silenzio. Eppure la cultura non scomparirà mai del tutto. Può bruciare, può sanguinare, può essere tradita. Ma non muore.

Conclusione: La Cultura Non Si Spegne
Finché esisterà chi scrive, chi denuncia, chi lotta, la cultura continuerà a pulsare. La memoria non si spegne. La dignità non si compra. La cultura non si getta nel bidone dell’indifferenza. Siamo tutti custodi feriti, ma ancora vivi e pronti a lottare.
Alan Comoretto
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